Francesco a Lampedusa, dai fatti alle parole


Dal blog di Giacomo Costa, direttore di
Aggiornamenti sociali, su L'Huffington Post
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 I gesti di papa Francesco fanno sempre notizia, e qualche volta anche scalpore, come quello di oggi a Lampedusa: il suo primo viaggio in Italia è un pellegrinaggio al molo di arrivo della tragica traversata dei migranti africani per "pregare per coloro che hanno perso la vita in mare, visitare i superstiti e i profughi presenti, incoraggiare gli abitanti dell'isola e fare appello alla responsabilità di tutti affinché ci si prenda cura di questi fratelli e sorelle in estremo bisogno" (Comunicato della Sala stampa della Santa Sede, 1 luglio 2013).

Non sfugge la portata critica di questo gesto, a cui non sono state risparmiate critiche, ma che al tempo stesso è segnato dalla discrezione dell'ordinarietà: una visita privata, senza cerimonie e senza incontri con le autorità, senza "cattedre" da cui lanciare moniti o reprimende.

In questo modo, tanto sommesso quanto deciso, papa Francesco esibisce il fatto che anche oggi la Chiesa ha qualcosa di rilevante da dire: non da una posizione dominante, ma recuperando la propria collocazione originaria tra le persone più semplici.

Così, con una naturalezza possibile probabilmente solo a chi viene da un altro mondo (geografico e mentale), relativizza tutte le dispute, di cui oggi cogliamo la parzialità eurocentrica, sulla laicità, la difesa dell'identità cristiana e il posto dei credenti nello spazio pubblico: ne hanno uno perché hanno qualcosa da dire, a prescindere dalla professione della fede, di chi parla come di chi ascolta. Non a caso le pagine della edizione americana di questo sito sono piene di post di persone che si dichiarano non credenti, ma entusiaste di papa Francesco. Con uno slogan coniato in altri contesti, si potrebbe dire che, rispetto al nostro modo europeo di pensare il rapporto tra Chiesa e società, tocchiamo con mano che "un altro mondo è possibile".

Questi gesti e la loro potenza sono anche la chiave di lettura corretta per la prima enciclica di papa Francesco, la Lumen fidei, pubblicata il 5 luglio: con parole rigorose, ma non astruse, da voce a quella consapevolezza fondamentale della fede che sostiene la vita e i gesti di chi crede, pontefice compreso. Così, come non pensare ai tanti incontri con i più deboli e fragili (come il giovane con disabilità la cui foto in papamobile ha fatto il giro del mondo) quando si legge

"La fede ci insegna a vedere che in ogni uomo c'è una benedizione per me, che la luce del volto di Dio mi illumina attraverso il volto del fratello" (n. 54).

Ugualmente il modo con cui papa Bergoglio ha da subito aperto un canale di dialogo con i rappresentanti delle altre religioni e i non credenti si regge sulla convinzione che

"Una verità comune ci fa paura, perché la identifichiamo con l'imposizione intransigente dei totalitarismi. Se però la verità è la verità dell'amore, se è la verità che si schiude nell'incontro personale con l'Altro e con gli altri, allora resta liberata dalla chiusura nel singolo e può fare parte del bene comune. Essendo la verità di un amore, non è verità che s'imponga con la violenza, non è verità che schiaccia il singolo. Nascendo dall'amore può arrivare al cuore, al centro personale di ogni uomo. Risulta chiaro così che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l'altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall'irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti". (n. 34).

Con il medesimo atteggiamento l'enciclica affronta anche temi abitualmente controversi come la famiglia, il relativismo culturale, senza entrare in polemica e mantenendosi in ascolto di chi pensa, sente, o vive in modo diverso. In una cultura così profondamente segnata dall'individualismo, in un universo mediatico e anche ecclesiale così attento alle contrapposizioni, anche il riconoscimento pacifico che l'enciclica è frutto di una inedita "collegialità pontificia", in cui Francesco assume la prima stesura curata da Benedetto XVI (n. 7) assume il valore di una indicazione profetica di uno stile proprio di chi intende comunicare una Buona Notizia.






09/01/2013
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