Le norme sulla cittadinanza, così come le politiche migratorie, hanno una portata simbolica che supera di molto i loro contenuti effettivi. Oggi dividono i partiti più dei temi economici e sociali. Dicono chi siamo e che cosa vogliamo essere come Paese, come ci immaginiamo la nazione del futuro.
Per questa ragione ogni tentativo di riforma del codice della cittadinanza varato nel 1992 guardando indietro, all’Italia degli emigranti, era finora naufragato. Si trovavano maggioranze per misure contingenti e ripetute come le sanatorie, ma non per agevolare l’accesso alla cittadinanza degli immigrati residenti e dei loro figli.
La riforma approvata ieri dalla Camera è dunque un passo avanti. Potranno diventare più rapidamente italiani i figli di un genitore con carta di lungosoggiornante e quanti, arrivati prima dei 12 anni, hanno studiato per almeno cinque anni nelle nostre scuole. Questo secondo aspetto, il cosiddetto ius culturae, è importante perché corregge una stortura dello ius soli puro: quella di privilegiare, nell’ambito di una stessa famiglia, i figli nati qui rispetto ai fratelli maggiori nati nel Paese di origine e ricongiunti magari piccolissimi.
Non stiamo però ancora parlando di una legge, perché il testo deve passare al Senato, e non è neppure una rivoluzione, perché già oggi i figli di immigrati nati in Italia godevano di una corsia privilegiata per l’accesso alla cittadinanza. Rimane ancora irrisolto inoltre il capitolo più impegnativo, quello degli adulti. L’Italia ha in proposito le norme più restrittive dell’Europa occidentale, insieme al piccolo Lussemburgo, e non prevede neppure il diritto di voto locale per i lungoresidenti.
La scelta di privilegiare i minori si spiega con la percezione di un’opinione pubblica più favorevole e dunque con una minore resistenza politica e culturale. Ma rischia di introdurre nuove asimmetrie nelle famiglie dei migranti: i figli potranno votare al compimento dei 18 anni, i padri solo dopo una lunga attesa. Necessita dunque di essere completata con dosi supplementari di coraggio politico.
Un’altra cautela dovrebbe riguardare l’enfasi che circonda l’argomento: se è fuori luogo parlare di svendita dell’identità italiana, è pure eccessivo presentare questa mini-riforma come la fine delle discriminazioni e l’avvento di una società finalmente accogliente. La cittadinanza non è una bacchetta magica, ma solo una tappa di un cammino. È una risorsa, che soprattutto i diretti interessati dovranno dimostrare di saper utilizzare per costruire il loro futuro di cittadini a pieno titolo di questo Paese.