Aiuti economici in cambio della disponibilità a riprendersi (o tenersi) i rifugiati. Questo, in estrema sintesi, sembrerebbe il succo del doppio accordo firmato, a distanza di pochi giorni, tra Unione europea e Afghanistan: il 2 ottobre è stato firmato il "Joint way forward on migration issues between Afghanistan and EU", un accordo per la cooperazione tra Paese asiatico e vecchio continente su rimpatri, riammissioni e reintegri dei migranti afgani; sei giorni dopo si è chiusa la Conferenza internazionale dei grandi donatori sull’Afghanistan, con la promessa di 16 miliardi di nuovi sussidi economici al Paese da parte dell'Europa.
Troppo vicine le due decisioni per resistere alla tentazione di vedervi una sorta di ricatto all'Afghanistan da parte di Bruxelles: vi aiutiamo a patto che vi teniate i profughi. E a poco valgono le smentite di vari esponenti politici europei, a cominciare dall’Alta rappresentante della politica estera della Ue, Federica Mogherini, secondo cui «la questione dei profughi non è in agenda oggi. Non c’è mai collegamento tra gli aiuti allo sviluppo e quello che facciamo sulla migrazione. L’accordo lo abbiamo firmato giorni fa. È stato un processo parallelo, ma non c’è condizionalità».
Del resto la logica dello scambio risulta già molto evidente nell'accordo con la Turchia del marzo 2016. Come in quella occasione, anche in questo caso le organizzazioni non governative che lavorano con i rifugiati non hanno taciuto il loro disappunto. Come ha dichiarato il presidente del Centro Astalli, il gesuita Camillo Ripamonti, «si tratta dell’ennesimo colpo inferto dalla UE alla dignità della vita umana, aggravato da uno spreco sproporzionato di risorse economiche che potrebbe essere destinato alla creazione di canali umanitari sicuri e a un’accoglienza programmata e progettuale che impegni tutti gli Stati UE. Al Centro Astalli ogni giorno incontriamo molti migranti afgani, prevalentemente uomini molto giovani di etnia hazara. Raccontano di violenze e persecuzioni, di mancanza di libertà personale in un Paese in cui il rispetto dei diritti umani è un obiettivo ancora assai lontano. È illegale oltre che immorale che l’UE gestisca in questo modo il flusso dei migranti sul proprio territorio».
Gli fa eco Cristhopher Hein, consigliere strategico del Consiglio italiano rifugiati ed esperto di diritto internazionale: «In Turchia almeno non c’è una guerra aperta, tranne in alcune zone del Kurdistan. Si può discutere della sua democrazia ma in Afghanistan ancora nel 2015 ci sono stati 11mila civili vittime di violenza. E in un Paese come questo l’accordo prevede esplicitamente un rimpatrio forzato».
Non a caso gli afgani costituiscono il secondo più grande gruppo di richiedenti asilo in Europa. Solo lo scorso anno sono stati 196.170. Dalla fine degli anni '80 sono la popolazione con il più alto numero di rifugiati nel mondo.
Ad aggravare il tutto, c'è il fatto che - come già avvenuto per la Turchia - quello con l'Afghanistan non è un vero accordo ma una dichiarazione congiunta, non sottoposta alla valutazione del Parlamento europeo.
Su limiti, contraddizioni e timidezze delle politiche dell'Unione europea nei confronti dei rifugiati, Aggiornamenti Sociali pubblica nel numero di ottobre un articolo di Chiara Peri, responsabile dei rapporti internazionali del Centro Astalli.