È possibile arginare l'hate speech sulla Rete?

La cronaca sempre più spesso riporta notizie di persone o gruppi verbalmente aggrediti in Rete per motivi di odio politico, religioso, razziale, di genere o di orientamento sessuale. A livello istituzionale e della società civile si moltiplicano le iniziative per arginare un fenomeno “antico” realizzato attraverso nuovi mezzi. 
Quali sono i tratti propri del discorso d’odio (hate speech) veicolato tramite Internet? Come lo si può definire, anche da un punto di vista giuridico? E come contrastarlo in modo efficace? Sono i temi approfonditi da Roberto Bortone (sociologo dell'Università degli Studi Roma Tre) e Francesca Cerquozzi (social media analyst) in un articolo pubblicato nel numero di dicembre di Aggiornamenti Sociali.  
Di seguito riportiamo la parte finale dell'articolo, per scaricare l'articolo integrale clicca qui.  



Contrastare l'odio on line: dai dati alle buone pratiche

(...) Le azioni per contrastare l’hate speech vedono coinvolte le istituzioni e la società civile. Molte associazioni, spesso in accordo con università e centri di ricerca, hanno sviluppato negli ultimi anni una serie di progetti molto interessanti. L’obiettivo generale perseguito è avviare una seria attività di formazione e informazione sul tema, ideando campagne e iniziative di sensibilizzazione degli utenti di Internet in materia di lotta all’odio e alla violenza on line e migliorando i meccanismi di monitoraggio e di reporting dei casi di hate speech. Tra i vari esempi ricordiamo il progetto europeo eMORE (monitoring and reporting on line hate speech in Europe), coordinato in Italia dal Centro studi e ricerche IDOS. 

Il progetto, co-finanziato dalla Commissione europea, è attivo in nove Stati membri dell’Unione Europea (Belgio, Cipro, Germania, Italia, Malta, Portogallo, Regno Unito, Romania, Slovenia) e si propone di accrescere le conoscenze a disposizione in tema di hate speech per realizzare efficaci ed efficienti iniziative multi-stakeholder di contrasto al crimine, colmando la «cronica mancanza di dati/informazioni affidabili e complete sui crimini d’odio». La sinergia tra monitoraggio e reporting è essenziale per colmare questa lacuna, per sviluppare una profonda conoscenza dei fenomeni e delle tendenze rintracciabili su Internet e nel mondo reale e per consentire analisi comparate a livello nazionale e comunitario. Solo così si può sostenere una lotta sistematica e integrata contro i reati motivati dall’odio.

Progetti come eMORE inoltre fanno emergere la necessità e l’urgenza di mettere a sistema e sviluppare al meglio quella che gli anglosassoni chiamano digital literacy, ovvero l’educazione al mondo digitale, e azioni concrete per arginare l’hate speech. Tra le varie Organizzazioni non governative che si sono concentrate sul tema dell’educazione e della formazione ricordiamo COSPE Onlus (Cooperazione per lo sviluppo dei Paesi emergenti) con il progetto BRICkS - Costruire il rispetto su Internet combattendo l’hate speech, che si propone di offrire ai giovani gli strumenti necessari per analizzare in modo critico le informazioni diffuse dai media on line e dai social network e di promuovere il loro ruolo attivo nella lotta contro il razzismo e i discorsi xenofobi sul web. Il valore aggiunto risiede nel suo approccio multidisciplinare, che coinvolge in modo diretto professionisti del settore della comunicazione e giovani utenti del web. 

Il progetto ha mostrato il ruolo fondamentale svolto dall’attività di moderazione dei commenti on line nel contrasto all’hate speech: è un’attività delicata e sempre più importante dei social media manager, giornalisti o addetti stampa impiegati da un numero crescente di testate per arginare il dilagare di discorsi d’odio e interagire direttamente in rete con gli haters, che sfruttano l’anonimato su Internet per usare un linguaggio violento. Noto alle cronache è il caso del social media manager di UNICEF Italia che negli scorsi mesi ha deciso di rispondere singolarmente a tutti i commenti su Facebook e a tutti i tweet contro le organizzazioni che salvano i migranti nel mare Mediterraneo. 

Per offrire un supporto concreto, oltre alla ricerca L’odio non è un’opinione, diffusa nel marzo 2016 nell’ambito del progetto BRICkS, è stato pubblicato Media education e hate speech, un quaderno di lavoro di COSPE Onlus frutto di un percorso partecipativo con diversi gruppi di insegnanti, attivisti, giovani di seconda generazione, giornalisti ed esperti della Rete, con lo scopo di “far vivere il problema” agli studenti, collegandolo alla loro esperienza concreta e sollecitando il loro ragionamento e la loro attivazione positiva. 

Anche i cittadini, principali fruitori quotidiani della Rete, possono e devono fare la loro parte per contrastare questo fenomeno, a partire da un intervento diretto per dissuadere l’aggressore, senza sottovalutarne il potenziale dannoso. Infatti, prendere con leggerezza i tanti commenti violenti e discriminatori che si leggono, ignorandoli, può comportare una cattiva valutazione di ciò che si nasconde dietro al commento e dell’impatto che una determinata opinione può avere sul comportamento dell’hater

Secondo quanto consigliato dagli attivisti del No Hate Speech Movement è cruciale rispondere ai commenti di odio evitando di porsi sullo stesso piano dell’interlocutore. La contro-narrativa ideale sta nell’elaborare una risposta educata e ironica, in cui si sottolinea l’inopportunità del commento in questione o la falsità del dato riportato e si incoraggia piuttosto l’hater a leggere altri articoli per informarsi. L’essenziale è interrompere la spirale di violenza verbale e verbosa, che non conduce da nessuna parte se non ad alimentare ulteriormente l’odio. Questa considerazione dal valore generale non è meno vera quando la riferiamo al mondo virtuale, le cui conseguenze possono seriamente ferire i singoli e i gruppi vittime delle aggressioni.

6 dicembre 2017
Ultimo numero

Rivista

Visualizza

Annate

Sito

Visualizza