Droghe e dipendenze, come cambia l'immaginario sociale

Tags: Droghe
Le dipendenze sono in vertiginoso aumento, a fronte di un calo della percezione del problema a livello sociale. Occorre quindi uscire dalla logica emergenziale per attivare politiche di prevenzione lungimiranti. È la tesi di Corrado Celata (Responsabile della Prevenzione Specifica nella UOC Promozione della Salute della Agenzia Tutela della Salute di Milano, Città Metropolitana), illustrata nel suo articolo su Aggiornamenti Sociali di aprile. Di seguito il paragrafo dedicato ai cambiamenti, a livello italiano, nell'immaginario sociale relativamente alle droghe. Clicca qui per scaricare l'articolo integrale in pdf. 
 
 
La sfida che hanno di fronte gli adulti, dai genitori agli insegnanti, agli educatori e, a livello generale, i responsabili delle istituzioni, è particolarmente ardua: si tratta di fronteggiare un fenomeno in continuo mutamento in un contesto socioculturale altrettanto mobile, in cui sempre più difficilmente si individuano punti di riferimento sufficientemente stabili per “ancorare” l’analisi e le azioni conseguenti. Dopo la fine dell’“emergenza droga” degli anni ’80 e ’90, affrontata con l’adozione di politiche fortemente orientate sul versante del controllo e della cura con ogni mezzo dei tossicodipendenti, negli ultimi 25 anni la politica e le istituzioni non sono riuscite ad aggiornare i quadri interpretativi e le linee di intervento. Sono addirittura 10 anni che il Governo non convoca la Conferenza nazionale sul tema, espressamente prevista con cadenza triennale dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
 
Quando si affronta il problema “droghe”, oggi si aggiunge un ulteriore aspetto. Non abbiamo più o, meglio, non abbiamo ancora trovato le parole per parlarne e per esprimere con chiarezza, in modo consapevole e, soprattutto, convincente, coordinate e modelli di riferimento, che permettano innanzitutto di definire “qual è il problema” e quali siano le implicazioni sul piano sociale. Inoltre, non riusciamo ad affermare visioni e valori differenti in grado di proporre in modo costruttivo soluzioni e scenari alternativi. 
 
Questo disorientamento, paradossalmente, si aggrava quando scatta l’emergenza: in questo caso, in modo disarmante e ripetitivo (come se non si capitalizzasse mai l’esperienza passata), riemergono le parole d’ordine e le immagini del passato, dettate più dalla paura che le droghe hanno rappresentato e rappresentano nel “DNA culturale” piuttosto che dalla capacità di agire in modo efficace. In una scena sociale caratterizzata dall’ampia diffusione del “consumo rappresentato e percepito come non problematico”, questa “escalation comunicazionale” complica notevolmente il compito di chi ha ruoli di responsabilità, contribuendo a rafforzare il tabù che impedisce di parlare della “cosa” in occasioni “serene”.
 
Permangono nell’immaginario collettivo associazioni dirette fra il concetto di droga e l’immagine della siringa sporca, o quella del “tossico” addormentato su una panchina quando, in una città come Milano, gli studi sulle acque reflue quantificano che circa 100mila persone, in gran parte integrate e attive nel ciclo produttivo, consumano quotidianamente droghe. Al medesimo tempo proliferano trasmissioni, pubblicità, film che propongono, quasi subliminalmente immagini di “droga-non-quella-droga-là” (quella della siringa), normalizzata, socialmente tollerata, lavorativamente compatibile, economicamente e finanziariamente allettante, quasi del tutto ripulita dall’idea di criminalità e di illegalità. 
 
Queste “immagini contemporanee” stanno orientando, formattandolo, il modo di concepire la questione da parte dei più giovani, ma anche di chi – fra gli adulti e i più anziani – non ha adeguati strumenti di comprensione. La scena sociale contemporanea vede, conseguentemente, convivere adulti cresciuti con le prime e terrificanti rappresentazioni,
e giovani, educati spesso più dai media che dai loro genitori, con visioni ambigue se non ammiccanti.
 
Analoghi gap semantici e culturali riguardano i farmaci: da un lato quelli dei nonni (nei flaconi di vetro, chiusi nei ripiani alti di un armadio di difficile accesso) e quelli dei nipoti (simili a caramelle, pubblicizzati in televisione, da portare in borsa, a scuola, in viaggio... per essere sempre pronti a ogni possibile evenienza). Si concretizza così, in quella che i sociologi chiamano “farmacolizzazione sociale”, la tensione fra il concetto di “farmaco come veleno/
rimedio” (etimologia classica) e quello di “farmaco come possibilità/soluzione” (significato contemporaneo).
01 maggio 2019
Ultimo numero

Rivista

Visualizza

Annate

Sito

Visualizza