Dov’è il nostro coraggio?
Con la conclusione anticipata della legislatura, la politica si ripresenta in modalità “ordinaria”. Siamo condannati all’eterno ritorno di uno scoraggiante scenario? Dove trovare le forze per continuare a sostenere le forze democratiche del Paese? Le prossime elezioni sono un appuntamento decisivo
All’inizio
di dicembre, il ritiro del pieno sostegno del PDL al Governo Monti ha segnato
la conclusione anticipata della legislatura. Con questa mossa, fa il suo
ritorno anche la politica in modalità “ordinaria”, dopo un anno di
funzionamento in modalità “provvisoria”, sotto la guida del Governo tecnico
sostenuto da una “strana” maggioranza. È un ritorno certamente sgangherato, con
un’accelerata che ci saremmo volentieri risparmiati e che per qualche giorno ci
ha fatto sentire di essere ripiombati in un vecchio incubo. In realtà la
conclusione della legislatura è anticipata solo di qualche settimana rispetto
alla scadenza naturale, l’aria di campagna elettorale era già percepibile da
tempo e, ripensandoci meglio, non può destare troppa sorpresa che questo sia il
modo con cui la politica è rientrata in scena: in fondo, riprende più o meno
dal punto in cui l’arbitro aveva fischiato la sospensione del gioco.
Contrariamente però a quanto può sembrare, non siamo
condannati all’eterno ritorno di uno scoraggiante scenario. Come vedremo,
molte cose sono cambiate e stanno cambiando nella società italiana: sarà questo
a favorire anche il cambiamento indispensabile nella nostra politica; mentre
sarebbe stato irrealistico pensare che essa fosse in grado di anticipare il
rinnovamento della società.
Cambiare gioco
Nessuno spazio quindi allo scoraggiamento o alla tentazione
di guardarci alle spalle: oggi più che mai è poco utile attardarsi a parlare
ancora di Silvio Berlusconi, del suo circo pre-elettorale e degli effetti
nefasti del berlusconismo di destra, da cui una certa sinistra non è immune.
Giocare a “berlusconiani contro antiberlusconiani” scalda ancora gli animi,
almeno quelli delle tifoserie più accese, ma appesantisce la lucidità del
pensiero, e non possiamo accettare che sia questo – per la sesta volta
consecutiva! – il Leitmotiv della campagna elettorale.
A metà del 2011 abbiamo registrato segnali di apertura di
una fase nuova nella vita del Paese (cfr Costa G., «Il gusto del “vento nuovo”», in Aggiornamenti Sociali, 07-08 [2011]
485-489).
È questo il momento di tornare a quelle sensazioni, per ritrovare energia da
investire nel consolidamento di questa novità, di cui continuiamo a vedere
i segni. A questo ci invitava anche la Chiesa italiana; il card. Angelo
Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, nel settembre 2011
rivolgeva questo invito: «C’è da purificare l’aria, perché le nuove generazioni
– crescendo – non restino avvelenate. Bisogna reagire con freschezza di visione
e nuovo entusiasmo, senza il quale è difficile rilanciare qualunque crescita,
perseguire qualunque sviluppo» (Prolusione all’apertura del Consiglio Episcopale
Permanente, 26 settembre 2011). A inizio dicembre 2012 l’appello diventava
ancora più pressante, in nome della necessità di salvare quelle novità positive
che un anno di sacrifici ha prodotto: «Fino a quando ce la farà l’Italia? […]
il Governo tecnico ha messo al riparo da capitolazioni umilianti e altamente
rischiose. Non si può mandare in malora i sacrifici di un anno, che sono
ricaduti spesso sulle fasce più fragili» (Vecchi
G. G., «Bagnasco: “Non si mandino in malora tutti i sacrifici fatti dai
cittadini italiani”», in Corriere della sera, 10 dicembre).
Un po’ d’aria nuova è entrata in questi mesi – è importante
riconoscerlo –, ma non possiamo ancora richiudere la finestra, perché il
ricambio d’aria non è ancora effettivamente avvenuto. Abbiamo provato il gusto
di una vita politica che assomiglia a quella di un Paese normale, di cui
poterci non vergognare. La politica, soprattutto nel suo aspetto di
partecipazione civica, torna a destare interesse, anche nelle comunità
cristiane, a lungo rimaste spettatrici afasiche e spaventate.
La sfida ora è quella di fare un passo deciso verso una
normalità che possa perdurare anche senza il sostegno del Governo tecnico
“straordinario”. Il passaggio è delicato e scivoloso, e c’era da aspettarsi che
a questa svolta si sarebbero riaffacciati “i fantasmi del passato”: ma bastano
le ombre di un brutto sogno a spaventarci e paralizzarci? Dove sono finiti
speranza, coraggio ed entusiasmo?
La crisi morde e li erode, certamente. Nutrire la speranza
non significa infatti essere ingenui. Le difficoltà che il Paese attraversa
sono enormi: diminuzione di produzione e reddito, aumento delle disuguaglianze,
immobilità sociale e territoriale, debito pubblico smisurato, blocco
demografico, riduzione degli investimenti, perdita di produttività, fuga dei
cervelli, chiusure localistiche e corporative. Ce lo dicono il rincorrersi di
dati statistici, rapporti e indagini, così come l’esperienza diretta di tante
persone.
Le energie servono ad affrontare questi problemi e per
recuperarle può essere utile ripercorrere l’esperienza che abbiamo fatto come
società in questo ultimo anno, dirci che cosa abbiamo imparato e riconoscere
che cosa ancora non siamo riusciti a cambiare. Registrare i movimenti avvenuti
è la terapia migliore per uscire dalla paralisi indotta dalla paura e
dall’impressione che nulla cambi, così da rifondare l’impegno a partecipare,
ciascuno con il ruolo che ha, con il compito che gli spetta.
Imparare da un
anno “strano”
Se guardiamo al 2012, non possiamo fare a meno di registrare
importanti novità. Tutti, anche coloro che dissentono sul suo operato, devono
riconoscere che il presidente Mario Monti ha permesso all’Italia di
riacquistare credibilità europea e internazionale, che non si misura solo
con uno spread (più o meno) sotto controllo, ma con gli effetti di competenze
qualificate messe a servizio del Paese e tradotte in azione, in riforme. Questo
restituisce dignità all’Italia e toglie terreno alla speculazione finanziaria.
Nonostante tutti i limiti
e le diverse valutazioni che si possono dare di ciascun provvedimento (come
abbiamo fatto anche sulle pagine di Aggiornamenti Sociali), dopo anni di
immobilismo e di produzione legislativa destinata a risolvere problemi
personali anziché a incidere su quelli del Paese, non si può che guardare con
soddisfazione a un Esecutivo che effettivamente prova a fare quanto è di sua
competenza. Basta scorrere i nodi affrontati dai principali provvedimenti
approvati dal Governo Monti: il consolidamento dei conti pubblici (decreto
“Salva Italia”, 6 dicembre 2011, su cui cfr M.F. Ambrosanio, in Aggiornamenti
Sociali, 12 [2012] 840-851); la concorrenza e le liberalizzazioni (decreto
“Cresci Italia”, 20 gennaio 2012); le semplificazioni fiscali (d.l. 24
febbraio); riforma del mercato del lavoro (la “Riforma Fornero”, del 23 marzo,
su cui cfr F. Origo, in Aggiornamenti Sociali, 6 [2012] 544-548); la
riforma del sistema fiscale (16 aprile); lo sviluppo (con i due decreti del 15
giugno e 4 ottobre); il d.l. sulla spending review (6 luglio); i costi della
politica nelle Regioni (d.l. 4 ottobre). Senza dimenticare l’impegno per il
risanamento del bilancio dello Stato, la lotta all’evasione fiscale (punto di
rottura rispetto a chi lo aveva preceduto), gli interventi sulla giustizia
civile. Come sempre, ex post è facile sostenere che si sarebbe potuto fare di
più e meglio, ma certo molto è stato fatto.
Ma le novità non vengono
solo dal Governo Monti. Segnali di un passo diverso si sono registrati anche
nel lavoro del Parlamento; forse in omaggio a dogmi liberisti di neutralità
del fisco, il ddl stabilità uscito dal Governo tecnico e dal Ministero
dell’Economia (9 ottobre 2012) prevedeva una riduzione generalizzata delle
imposte sui redditi (“limatura” dell’aliquota sui primi due scaglioni),
spalmando su tutti i contribuenti un beneficio di cui avrebbe goduto
soprattutto la classe media, a fronte di un aumento dell’IVA sui beni di largo
consumo che avrebbe avuto un impatto biecamente regressivo sulle fasce più
deboli. La legge che uscirà dal Parlamento – non ancora approvata nel momento
in cui scriviamo – avrà una fisionomia ben diversa, concentrando gli sgravi là
dove risultano più strategici (sui redditi da lavoro). È probabilmente il più
significativo, ma non l’unico punto in cui la politica ha saputo fare il
proprio mestiere (ordinare le priorità strategiche) e addirittura migliorare il
lavoro dei tecnici. Sembra incredibile, ma nel 2012 è successo anche questo, e,
se saprà continuare su questo cammino, della politica potremo tornare a
fidarci.
Certo in questa
panoramica del 2012 non possiamo dimenticare il ruolo e gli interventi di Napolitano,
anch’egli indubbiamente un “politico”, e rappresentante di un modo alto di
interpretare la politica. Non a caso è questo che ha ricordato
incessantemente ai partiti, fin dal Messaggio di fine anno del 2011: «un
vasto campo è aperto per l’iniziativa dei partiti e per la ricerca di intese
tra loro sul terreno di riforme istituzionali da tempo mature. Queste sono
necessarie anche per creare condizioni migliori in vista di un più costruttivo
ed efficace svolgimento della democrazia dell’alternanza nello scenario della
nuova legislatura dopo il ritorno alle urne».
Il punto qui – è bene
ricordarlo – non è celebrare chi ha fatto bene, magari alla ricerca di un nuovo
demiurgo, ma tornare a “sentire” quello che ha dato aria ai nostri polmoni.
Legittimamente ciascuno farà riferimento a occasioni diverse: la cosa
importante è riappropriarci del gusto di quella esperienza, del gusto
dell’entusiasmo e dell’impegno, per lasciarcene guidare nei mesi a venire. È
questa la strada per tornare a far nostra un’attività, la politica, che è
cruciale per le nostre vite: non possiamo permetterci di rinchiuderci in una
(presunta) torre d’avorio, in nome di una reazione a scandali ingiustificabili
o di una comprensibile delusione che rischiano però di scivolare nel
qualunquismo autolesionista dell’antipolitica e di minare la spinta
all’impegno. Sarebbe, per i cristiani certamente, ma in fondo per tutti i
cittadini, venire meno a un preciso dovere, come ci ricorda il contributo di
Christian Mellon alle pp. 73-76 di questo fascicolo.
In questa chiave, torna altrettanto utile provare a guardare
a quello che ci ispira meno. In questo anno di politica in modalità
provvisoria, con una sospensione dello scontro, i partiti avrebbero avuto
molte opportunità per riguadagnare credibilità agli occhi degli italiani.
In primo luogo con la tanto agognata riforma della legge elettorale.
Così non è stato – come il presidente Napolitano ha stigmatizzato nella lettera
inviata il 28 novembre all’on. Roberto Giachetti – a causa di un «interminabile
braccio di ferro, giuoco degli equivoci, ripetuto alternarsi di opposti
irrigidimenti, da cui è stato messo a grave rischio il mantenimento di un
impegno assunto da tutte le forze politiche in risposta ad aspettative più che
comprensibili diffuse tra i cittadini-elettori». La latitanza dei partiti sul
fronte della riforma elettorale si accompagna all’assenza di interventi su se
stessi e sui costi della politica (i provvedimenti in materia sono infatti di
fonte governativa), nemmeno in risposta agli scandali più degradanti. Sarebbe
facile continuare con i cahiers de doléances, ed è quanto spesso prevale
nell’opinione comune: anche i sentimenti di rabbia o di impotenza sono però una
fonte di energia e possono spingerci a chiederci che cosa possiamo fare come
cittadini. Specie se passano al vaglio di un confronto costruttivo.
Il ritorno della
politica
La ricognizione dei giacimenti di energia è di fondamentale
importanza per affrontare il ritorno della politica in modalità ordinaria. In
realtà – è bene ricordarlo – la politica e la democrazia non sono mai andate
via: Monti ha governato perché è stato nominato dal Presidente della Repubblica
e ha ottenuto la fiducia del Parlamento, condizione necessaria e sufficiente
per governare in Italia sulla base della nostra Costituzione.
Necessariamente la politica torna con i partiti e i volti di
prima, per questo – come dicevamo – non deve stupirci se lo fa in modo
sgangherato. Non basta un anno per un vero rinnovamento. Ma è importante notare
quanto oggi infastidisca un modo di procedere che fino a un anno fa sembrava
doversi considerare normale. La vera novità è che la politica di prima oggi
ha di fronte un Paese mutato.
Nei confronti della politica almeno una porzione degli
italiani non è più la stessa. Ne è un segno tangibile il successo delle
primarie per la scelta del candidato premier del centrosinistra: gli oltre tre
milioni di cittadini che si sono recati alle urne, sostenendo un costo e
talvolta qualche disagio, indicano che il desiderio di partecipazione è grande
e che non tutto e non tutti sono fagocitati dall’antipolitica. A prescindere
dall’accordo personale con l’uno o l’altro dei programmi, le primarie del
centrosinistra sono state un passaggio importante per la ricostruzione del
rapporto del Paese con la politica, o meglio per l’inizio della
riappropriazione della politica da parte dei cittadini, ed è un peccato che
questo strumento resti al momento limitato a una sola “parte”. In questa fase
almeno, le primarie (anche per scegliere i candidati al Parlamento) possono
essere uno strumento di promozione della partecipazione e di consolidamento
della democrazia.
È sempre più vero, infatti, che, in Italia e non solo, la
nuova frontiera della politica è quella fra democrazia e populismo, che
rimpiazza la vecchia opposizione tra destra e sinistra da cui, purtroppo,
un certo conservatorismo italiano fatica a staccarsi, riducendo la politica a
tifo da stadio. In vario modo, in attesa di un suo schieramento che nel momento
in cui scriviamo è eventuale, quelle che tradizionalmente sono destra e
sinistra sembrano fare a gara per intestarsi l’azione e la stessa persona di
Monti, evidentemente a caccia del consenso che la sua persona attira. Ma in
questo nessuna delle due risulta convincente: è difficile dire se Monti sia più
di destra o più di sinistra non perché è ambiguo, ma perché quelle categorie
sono ormai inadeguate. Qualcosa del genere si può affermare anche per alcune
controversie intorno alla figura di Matteo Renzi in occasione delle primarie
del centrosinistra.
La politica che sta
tornando alla ribalta a questo proposito è probabilmente un po’ più chiara, nel
senso che appare più netto il confine tra posizioni populiste (pur di orientamenti
e con modalità molto vari: dalla Lega a Berlusconi, al Movimento 5 Stelle, per
finire all’Italia dei valori e al nascente “quarto polo arancione”) e posizioni
democratiche. Le sovrapposizioni paiono in via di diminuzione.
In questo scenario anche la Chiesa e i cattolici sono
chiamati a rinnovare la propria opzione a favore della democrazia. Questo
significa tra l’altro resistere alla tentazione nascostamente populista di
identificare qualcuno sotto la cui ala protettiva schierarsi in modo acritico,
chiunque egli sia – un errore costato caro in passato –, e soprattutto
abbandonare qualunque idea di lobby cattolica: la strada è quella di favorire
la partecipazione e l’impegno, nel legittimo pluralismo tra le opzioni
autenticamente democratiche.
Ciò che le accomuna, in un momento certamente ancora
difficile, ci sembra la disponibilità a prendere sul serio la maturità dei
cittadini e la capacità di dire la verità rinunciando alle promesse mirabolanti
o ai proclami ideologici. Anche nella politica italiana oggi, dire la verità
risulterà liberatorio: permetterà di riconoscere che il nostro debito pubblico
è un problema reale e non virtuale, che il rigore nei conti pubblici è una
virtù e non un vizio, ma al tempo stesso che lo strapotere della finanza e della
speculazione va arginato e le rendite di posizione aggredite. Le modalità con
cui farlo potranno divergere nei programmi politici, anche se verosimilmente
non di molto, ma per certi versi e almeno in questa fase, quale scegliere è
meno importante che assicurarsi di sceglierne uno realistico.
Una prospettiva democratica e costituzionale, poi, non potrà
limitarsi alla buona gestione del bilancio pubblico né, soprattutto, valutare
solo su questo parametro le profonde riforme di cui il Paese ha ancora bisogno.
Il welfare italiano deve cambiare, perché così com’è risulta insostenibile, ma
la sostenibilità non è l’unico standard del welfare che vogliamo: una sua
riforma, non tecnica ma autenticamente politica, democratica e costituzionale
deve rimettere al centro la questione della tutela dei diritti fondamentali. Su
questo punto occorre riarticolare le categorie con cui sono pensati problemi e
soluzioni (a riguardo segnaliamo il contributo di Luca R. Perfetti, qui alle
pp. 14-25). Un discorso analogo vale per i molti interventi sull’assetto
istituzionale europeo che sono già nell’agenda dei prossimi anni, per i quali
serve innanzitutto un rinnovamento dell’orizzonte in cui conciliare efficacia
tecnica e centralità delle persone.
Le
prossime elezioni politiche sono dunque un appuntamento decisivo. Il gusto
del vento nuovo, che pur tra le difficoltà abbiamo sperimentato, deve farci
vincere delusione e scoraggiamento e condurci nuovamente sulle strade della
partecipazione. La nostra responsabilità di elettori è sconfiggere i
difetti della legge elettorale e far vincere, prima che l’uno o l’altro
schieramento, il circuito virtuoso della democrazia.
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