Don’t look up

di Adam McKay
Stati Uniti 2021, Netflix, 138 min., satirico
Scheda di: 
Fascicolo: marzo 2022

Che cosa si può ancora dire di Don’t look up, il nuovo film di Adam McKay (già regista di La grande scommessa e Vice – L’uomo nell’ombra), che ha provocato una valanga di commenti, recensioni e discussioni sulla Rete, accendendo dibattiti, raccogliendo un sostanziale consenso da parte degli attivisti per l’ambiente e deludendo una parte della critica? Vogliamo tornare su questo film, la cui visione è comunque consigliata, cercando di concentrarci sulla lettura che offre di alcuni aspetti del mondo di oggi.

 

Ricapitoliamo brevemente la storia: gli astronomi Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) e Randall Mindy (Leonardo Di Caprio) scoprono un meteorite in rotta di collisione con la terra; le dimensioni del corpo celeste sono tali, che l’impatto causerà l’estinzione dell’umanità, come avvenne per i dinosauri circa 66 milioni di anni fa. I due scienziati tentano di mobilitare la politica e l’opinione pubblica, scontrandosi con un sistema mediatico superficiale e una compagine governativa incapace e interessata solo al proprio tornaconto, personificata da Meryl Streep nei panni di una Presidente degli Stati Uniti grottesca e ostaggio dei media. Anche quando la Casa Bianca decide di lanciare una missione di difesa planetaria, il piano viene annullato per l’interferenza di un magnate dell’intelligenza artificiale, finanziatore dell’amministrazione in carica, risoluto a sfruttare le risorse minerarie dell’asteroide. Il mondo si divide allora tra chi esige la distruzione della cometa e folle urlanti che ne negano l’esistenza e incitano a “non guardare in alto” (Don’t look up!, da cui il titolo del film).

 

La distribuzione del film a breve distanza dalla COP26 di Glasgow e la presenza di Di Caprio, il cui impegno per il clima è ben noto, hanno contribuito a far interpretare il film come una metafora dei cambiamenti climatici, con le problematiche della loro gestione politica, il peso degli interessi economici e la mobilitazione popolare sul tema. I riferimenti al riscaldamento globale sono indiscutibili e il film offre alcune piste di riflessione a riguardo.

 

Soprattutto, circa il rapporto tra ricerca e comunicazione scientifica e tra scienziati e media. Nel film appare tutta la difficoltà di trasformare una scoperta scientifica in materia di riflessione per l’opinione pubblica: al netto delle semplificazioni del sistema mediatico, è sempre un’operazione complessa, che richiede un attento lavoro di “traduzione”, per il quale non sempre gli scienziati sono preparati, anche perché sono spesso inconsapevoli della distanza che separa il loro discorso, fondato sul metodo scientifico, da una società nella quale hanno un peso rilevante anche la gestione delle emozioni collettive e gli orientamenti etici e politici delle persone. Non basta che un’informazione sia empiricamente verificata per orientare i comportamenti; inoltre il rischio è una categoria non solo statistica, ma anche culturale: ci sono pericoli che assumiamo per abitudine, quasi senza rendercene conto; altri che amplifichiamo; altri ancora che non riconosciamo perché troppo lontani dal nostro quotidiano. Perché un’informazione scientifica sia accolta, deve saper intercettare anche l’immaginario collettivo, le sensibilità e i valori di una società. Nel film questo non accade e la povera Dibiasky, dopo un’apparizione angosciata in tv, viene trasformata dai media nello stereotipo sessista della donna isterica. Mindy, dal canto suo, subisce la trasformazione in una celebrità scientifica, fino a compromettere la propria serietà personale. Da questo punto di vista, Don’t look up è un’occasione per riflettere.

 

Invece, il punto che suscita perplessità riguarda proprio il fatto, se la metafora del film sia efficace nel descrivere il problema dei cambiamenti climatici. Da questo punto di vista, Don’t look up semplifica troppo. Diversamente dalle decisioni circa la cometa del film, i negoziati climatici non sono un’alternativa immediata tra il bene e il male, tra la morte e la vita e, seppure una narrazione mediatica di questo tipo sia diffusa, va detto che è sbagliata e che non aiuta a capire il problema. I negoziati climatici sono un esercizio estremamente complesso di politica internazionale, tra economia e diplomazia, nel quale anche il compromesso può essere utile. Se l’asteroide del film può essere fermato con un missile, la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici esigono la correzione di meccanismi economici e la ridefinizione di equilibri geopolitici che richiederanno anni di trattative tra gli Stati, lavoro paziente dei tecnici e sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Non perdiamo mai di vista questa complessità.

 

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