«Non sappiamo. È l’incertezza la cifra di questo tempo di sospensione che il nostro Paese, come tanti altri nel mondo, sta attraversando». Si apre così
l’editoriale del numero di aprile di Aggiornamenti Sociali, firmato da Giacomo Costa SJ e inevitabilmente dedicato alla pandemia di Covid-19.
Dopo una prima riflessione pubblicata in marzo, quando si era alla vigilia dell’emergenza, in questo intervento il Direttore riflette su un’esperienza che «ci sta cambiando in profondità, come singoli e come società», e - nella linea indicata da papa Francesco nello storico momento di preghiera in Piazza San Pietro, lo scorso venerdì - si interroga su che cosa questo tempo ci possa insegnare: «Si sta seminando un cambiamento - scrive padre Costa -: vale quindi la pena usare questo tempo per cominciare ad assumere più consapevolmente uno sguardo diverso, definire nuove priorità e scegliere la direzione in cui dirigerci nel momento in cui sarà possibile ripartire».
Gli attentati dell’11 settembre 2001, la crisi finanziaria globale del 2008, lo scandalo di Cambridge Analytica e il fenomeno della post-verità: sono esempi di situazioni in cui, spiega l’editoriale, abbiamo già dovuto «fare i conti con la sensazione di aver smarrito dei punti di riferimento e con lo sgomento che ne deriva». Di fronte a questa nuovo dramma globale, «non possiamo più trascurare i segnali di quella che va interpretata come una crisi sistemica: quanto credevamo solido si rivela invece friabile o liquido».
Illusi che «i modelli alla base della nostra visione del mondo» ci consentissero «di dominare e di tenere tutto sotto controllo», continua Costa, «facciamo fatica ad abbandonare l’idea che sia possibile elaborare un “modello” completo e funzionante». Eppure, «gli ultimi vent’anni, e ancora di più le ultime settimane, ci chiedono uno sforzo di umiltà radicale. Il passo da fare è assumere che la nostra conoscenza è sempre parziale». Questo non significa «lasciarsi andare alla deriva. In questa crisi, come in ogni altra, è il futuro che ci viene incontro nella forma dell’esigenza del cambiamento».
In questo senso, prosegue l’editoriale, «una prima traccia da non disperdere è l’esperienza di essere tutti sulla stessa barca: un virus non guarda in faccia a nessuno e non tiene conto di differenze, disuguaglianze e frontiere. Di fronte alla pandemia di COVID-19 riscopriamo l’unità della famiglia umana, a livello del legame tra i singoli come tra le nazioni: nessuno può pensare di cavarsela da solo, isolandosi, e servono risposte coordinate. È lo stesso per molte altre situazioni, a partire ad esempio dalla questione dei cambiamenti climatici».
Un ulteriore stimolo è «l’esperienza della fragilità umana: per quanti sforzi facciamo, non siamo mai padroni del nostro destino», anche se in Occidente ci siamo «illusi di essere invulnerabili o capaci di fornire una soluzione tecnica a qualsiasi problema».
Di fronte a questa fragilità, riflette Giacomo Costa, «riscopriamo la qualità etica del legame che ci unisce: il rischio del contagio rende evidente come la vita di ciascuno sia affidata alla responsabilità degli altri. Anche nei gesti più quotidiani, come lavarsi le mani, è in gioco qualcosa del destino della famiglia umana». Non solo, «questo legame non si esaurisce nei rapporti “faccia a faccia”, ma si sostanzia in strutture e istituzioni che intermediano la relazione tra i membri di una società sempre più complessa. Oggi è il caso del sistema sanitario: la salute e la sicurezza di tutti dipendono da quello che è un bene comune nel senso più pieno». E allargando ulteriormente lo sguardo, «l’emergenza COVID-19 riporta sotto i nostri occhi la centralità della politica nella sua funzione originaria di autorità che si prende cura di ciò che non può essere affidato ad altre istanze sociali e che a questo scopo utilizza il potere. Questa funzione non può essere surrogata da meccanismi di autoregolazione impersonale, come le leggi del mercato, né dalla buona volontà dei singoli».
Ma una volta terminata l’emergenza, si chiede il direttore di
Aggiornamenti Sociali, «sapremo osare qualche cambiamento o preferiremo tornare ad assetti noti e rassicuranti? Con questa domanda giungiamo al nocciolo della questione: ciò che determina i comportamenti e le scelte, delle persone come dei gruppi sociali e di intere società, non è soltanto ciò che sappiamo, ma piuttosto un atteggiamento condiviso di fede», termine inteso qui come un «atteggiamento di fiducia fondamentale nei con¬fronti della vita che consente alle persone di fare un passo in avanti, di impegnarsi, di mettersi in gioco». Secondo padre Costa, «la pesantezza e le fratture del nostro Paese hanno offuscato questa fiducia negli ultimi tempi, ma in questi giorni abbiamo potuto raccogliere segnali che indicano come la società italiana ne sia ancora animata».
Per i gesuiti di
Aggiornamenti Sociali, ciò che stiamo vedendo in questi giorni, ad esempio le iniziative che vanno sotto lo slogan “Andrà tutto bene”, non va considerato come «un ottimismo di facciata: emerge davvero un credito accordato alla vita, che non è scontato, né può essere deriso».
Questa fiducia fondamentale interpella la fede, intesa questa volta in senso confessionale. «Sono tanti i modi in cui i cristiani vivono la loro fede in questo tempo - scrive padre Costa -. Alcuni, anche molto semplici, sono commoventi, mentre altri lasciano talvolta perplessi, perché pensano di poter eliminare l’incertezza e il non sapere attraverso oggetti sacri e pratiche religiose, cercando garanzie anziché trovare nella relazione con il Signore il coraggio di attraversare la difficoltà e la paura, e di cambiare sguardo».
In questo contesto, «fa parte del contributo dei cristiani anche la preghiera, pure nella sua forma intima, personale (ma non per questo individualistica) e famigliare, di cui questa fase di sospensione delle celebrazioni pubbliche può aiutare a riscoprire il valore. Una preghiera più intensa diventa la base per trovare il modo di adattare il proprio stile di vita alle attuali circostanze e continuare a praticare la prossimità». A partire dalla fede, conclude l’editoriale, c’è poi «un ultimo dono che i cristiani possono offrire alla società: è la speranza, intesa come possibilità di un nuovo inizio, che in fondo è il nucleo stesso dell’annuncio pasquale».
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