City of God

Fernando Meireles e Katia Lund
Brasile, Francia, USA, 2001
Scheda di: 
Fascicolo: marzo 2013

Buscapé è un ragazzo nato negli anni ‘60 nella “Città di Dio”, favela senza speranza dove la vita delle persone sembra girare attorno al traffico di droga e alla violenza delle bande giovanili. Una storia che non solo ripercorre un ventennio della vita del protagonista, ma anche un periodo cruciale per comprendere l’evoluzione urbana e civile del Brasile di oggi.

City of God, presentato nel 2002 al festival di Cannes e tratto dal romanzo Cidade de Deus di Paulo Lins, liberamente ispirato alla figura del fotografo Wilson Rodrigues, offre un’istantanea corale della vita nelle urbanizzazioni più povere di Rio De Janeiro, in un periodo storico in cui la società brasiliana iniziava ad aprirsi al progresso internazionale. Al centro di una vicenda in cui il giovane fotografo Buscapé si offre come punto di vista centrale, vi è la favela, luogo cruciale dove si esprimono le contraddizioni di un’intera società, simbolo di un disagio sociale ed economico che sintetizza la sproporzione insanabile fra ricchi e poveri in Brasile. La forza espressiva di City of God risiede nel riportare la realtà di questi simboli, disperati e violenti, all’interno dello spettacolo cinematografico, raccontando la favela senza alcuna distanza moralistica o politicamente corretta, con la nitidezza di un documentario e la capacità di coinvolgimento del racconto cinematografico corale a struttura narrativa forte. Ciò non comporta una mancanza di misura nella messa in scena: se la violenza è spesso rappresentata esplicitamente, Fernando Meirelles e Kátia Lund mantengono un pudore tragico, evitando il compiacimento e riuscendo a scuotere lo spettatore in maniera più intensa ed evocativa. Questa scelta estetica riporta a una chiara direzione etica del film, volta a mostrare la meraviglia e il dramma di una vita ai margini della società. Non è un caso che la messa in scena registica prediliga uno sguardo al contempo interno ed esterno, che vede nella fotografia di Buscapé la rappresentazione metaforica del cinema stesso. La messa in scena di Mereilles e Lund è infatti in bilico fra cruda “docufiction” e regia tradizionale, mossa da un sincero pathos tragico. L’ironia, il grottesco e il tragicomico sono il modo in cui i registi affrontano tutto il discorso sulla criminalità, mettendone bene a fuoco la pericolosità ma, contemporaneamente, sbeffeggiandone i rischi e le difficoltà. Il connubio di tragedia e ironia in City of God contiene un’osservazione fondamentale sull’essenza della condizione dei suoi personaggi e dei suoi luoghi. Il cinico sarcasmo di cui è stato capace chi ha battezzato la più antica, peggiore e più disperata favela brasiliana “Città di Dio” viene superato dall’inevitabile vitalità, espressa in modi distruttivi (le bande e la droga) o creativi (le fotografie di Buscapé), che va oltre la più banale disamina politico-sociale; il film è infatti teso a dare allo spettatore un’immagine sempre fragile e meravigliosamente umana di ogni suo personaggio. La creatività e l’umanità – sembrano suggerire i registi nel finale – possono essere in grado di trasformare un orrendo slum in una vera e propria città di Dio.

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