Che ne sarà dell’Unione Europea nell’epoca di Trump 2.0?
Le ultime elezioni presidenziali statunitensi hanno avuto un vincitore chiaro: Donald Trump. Numerosi sono i commenti e le prime analisi di tale successo, per molti inatteso, per lo meno in queste dimensioni. Se per valutazioni più approfondite sarà necessario attendere i prossimi mesi, può essere già interessante riflettere sulle implicazioni che ne derivano per l’Unione Europea e le sue istituzioni.
Il primo leader europeo a congratularsi per la vittoria è stato Viktor Orbán. Si tratta di una simpatia ampiamente ricambiata: il Primo ministro ungherese è stato più volte citato da Trump come suo interlocutore privilegiato in Europa. Tali non sono quindi per lui i leader di altri Paesi europei, o tanto meno le figure istituzionali dell’Unione Europea.
La sufficienza, per non dire il sospetto, con cui il prossimo Presidente statunitense guarda al Vecchio continente, esacerbato anche dalle polemiche sulla asserita insufficiente contribuzione europea alle spese della NATO e dalla minaccia di pesanti dazi commerciali, si somma all’atteggiamento più o meno apertamente aggressivo nei confronti dell’Europa, sul piano politico ed economico, di altri importanti attori internazionali, fra cui la Russia e la Cina.
In questo contesto internazionale assai poco favorevole, il progetto di integrazione europea si trova davanti a un importante snodo, che va ad aggiungersi alle tensioni interne dovute a un’economia che stenta a ripartire e al graduale affermarsi in tutto il continente di forze politiche populiste tendenzialmente fredde, se non ostili ad esso, come si è visto nelle ultime elezioni europee di giugno 2024 e in vari appuntamenti elettorali nazionali.
Nella situazione globale attuale un’Europa frammentata e ripiegata su se stessa è destinata non solo a divenire sempre più irrilevante, ma potrebbe non essere nemmeno in grado di far fronte a minacce esterne sempre più concrete. Lo “scossone” proveniente da oltre oceano plausibilmente galvanizzerà le forze politiche di destra ed estrema destra, anche se è ancora presto per capire se questo si tradurrà in un maggiore consenso nelle prossime tornate elettorali. Ancora aperta poi pare la partita per le istituzioni europee. Al di là del generale spostamento verso posizioni di maggiore chiusura su temi come l’immigrazione e la transizione energetica, la domanda è se e come l’Unione vorrà e potrà raccogliere una serie di altre sfide.
La prima di queste sfide è stata chiaramente messa in luce dal Rapporto sul futuro della competitività europea presentato da Mario Draghi alla Commissione Europea il 9 settembre, e poi al Consiglio europeo informale di Budapest lo scorso 8 novembre. In quest’ultima occasione, Draghi ha dichiarato come «quello che l’Europa non può più fare è posporre le decisioni», e come sarà necessario «negoziare con l’alleato americano con uno spirito unitario in maniera tale da proteggere anche i produttori europei» (cfr https://www.eunews.it/2024/11/08/draghi-leader-ue-basta-posporre-decisioni/). Risposte di carattere unitario sono state invocate a livello economico, trovando però un’accoglienza fredda. Tanto meno agevole nell’attuale temperie politica pare la possibilità per l’Unione Europea di accreditarsi come interlocutore di rilievo a livello globale, da un lato attuando una vera politica di difesa comune che riduca la dipendenza dalla NATO, e dall’altro favorendo le condizioni perché l’Unione abbia una voce unitaria in politica estera.
In tutto questo, l’Europa deve decidere se procedere verso una forma di unione basata su convenienze temporanee oppure ritornare alle radici del suo progetto. Seguire quest’ultima strada comporterà in particolare ritrovare le basi di una nuova «solidarietà di fatto» (così come chiamata da Robert Schuman nella sua celebre dichiarazione del 9 maggio 1950), che si concentri più che mai su che cosa ancora ci unisce, a partire dal fatto che oggi, proprio come alla fine dell’ultimo conflitto mondiale, nessun Paese europeo può sperare di potersi “salvare da solo”.
Coltivare la dimensione europea non può essere solo una mera “tattica di sopravvivenza” in un mondo sempre più minaccioso e ostile. Al di là di tanti errori commessi nel passato e nel presente, l’Europa è ancora capace di offrire al mondo di oggi un rinnovato e originale contributo. L’attuale situazione internazionale, a conferma di una tendenza già evidente negli ultimi decenni, ci pone sul lato debole dei rapporti di forza globali. Proprio questo può diventare lo spunto per un nuovo modo di essere Europa, che restituisca, a noi europei e magari anche al resto del mondo, una visione di futuro sganciata dalla logica del dominio e capace di coltivare la speranza. Questo può essere il senso da dare oggi a quello che continuiamo a considerare il “capolavoro” dell’Unione Europea: oltre alla capacità di rilettura critica del proprio passato, già sperimentata al termine del Secondo conflitto mondiale, il suo modello sociale, basato sul riconoscimento e sulla tutela dei diritti di tutti, e la costruzione di istituzioni comuni come modalità di gestione dei rapporti tra i Paesi e i popoli del continente, al posto dei sanguinosi conflitti che lo hanno marcato per secoli.
Immagine:
Gage Skidmore13 novembre 2024
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