Intervista a Camillo Ripamonti SJ, presidente Centro Astalli-JRS Italia,
a cura di Giuseppe Riggio SJ
Nel panorama italiano delle realtà impegnate ad accompagnare i richiedenti
asilo e i rifugiati non è necessario spendere molte parole per
presentare il Centro Astalli, la sede italiana del Servizio dei gesuiti per i
rifugiati-JRS, per la qualità del servizio che svolge e la credibilità che si è
conquistata sul campo. Quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario
della sua nascita ed è interessante ricordare come è sorto.
La nascita del Centro Astalli è legata fondamentalmente a due eventi.
Innanzi tutto, l’intuizione avuta da p. Pedro Arrupe, al tempo Padre generale
dei gesuiti, che la Compagnia di Gesù poteva e doveva fare qualcosa
per venire in aiuto dei boat people, ossia i vietnamiti in fuga dal loro Paese.
A questa intuizione, che riguardava una questione internazionale, si è aggiunto
l’ascolto del grido dei poveri che erano presenti nel nostro territorio,
in particolare nella città di Roma. Si trattava in concreto dei cittadini
eritrei, che si trovavano di passaggio in Italia, in attesa di poter raggiungere
altri Paesi, per ottenere il riconoscimento dello statuto di rifugiati. La
vicinanza a queste persone, che è da sempre al cuore dell’azione del Centro Astalli, è testimoniata anche
dalla scelta del luogo in cui è
sorto: la nostra sede storica si
trova infatti in via degli Astalli,
proprio a ridosso di piazza Venezia,
l’allora punto di ritrovo
degli eritrei a Roma.
Nel corso di questi anni,
il Centro Astalli ha continuato
a operare coniugando l’attenzione
a quanto avveniva a
livello mondiale con la risposta
alle esigenze concrete del
territorio italiano, che man
mano si è aperto all’accoglienza di persone in fuga da situazioni di violenza,
guerra e persecuzione, provenienti da varie parti del mondo, dall’Eritrea
all’Iraq, dal Congo all’Afghanistan, giusto per citare alcuni Paesi che
sono stati al centro di gravi crisi umanitarie.
In questo compito il Centro Astalli è stato guidato da tre parole
consegnateci da p. Arrupe: accompagnare, servire e difendere. Accompagnare
significa costruire relazioni che hanno la persona al centro, senza
assumere una posizione paternalistica, ma facendosi compagni di strada,
mettendosi in ascolto di quanto le persone incontrate hanno da dire. Servire
implica grande rispetto e dedizione, per non strumentalizzare la condizione
dei rifugiati per interessi propri. Infine, difendere ha per obiettivo di
restituire centralità alla dignità di queste persone, visto che l’hanno persa
nei propri Paesi di origine e rischia di essere ancora calpestata nei Paesi
di accoglienza, anche quelli europei. Siamo ulteriormente incoraggiati in
questa direzione dai verbi usati da papa Francesco – accogliere, proteggere,
promuovere e integrare – per sintetizzare l’impegno a favore dei migranti.
Nella visione del Papa c’è una profonda sintonia con la centralità della
persona, che è quanto più ci sta a cuore. [continua]
Ti interessa continuare a leggere questo articolo? Se sei abbonato inserisci le tue credenziali oppure
abbonati per sostenere Aggiornamenti Sociali