Brasile, le contraddizioni dietro il pallone
Il Campionato mondiale di calcio che ha preso il via il 12 giugno si gioca in un Paese, il Brasile, pieno di contraddizioni. All’inizio degli anni Duemila era considerato una delle economie più promettenti del mondo con tassi di crescita che si attestavano intorno al 7%. Molti analisti economici si erano spinti a dire che, insieme a Cina, Sudafrica e India, il Brasile avrebbe soppiantato le tradizionali «locomotive» mondiali: Stati Uniti, Germania, Giappone, Francia, Gran Bretagna, Italia e Canada.
In realtà, l’economia carioca, pur avendo assorbito bene l’urto della crisi del 2008, sembra aver rallentato. Secondo i dati pubblicati a fine maggio dall’Istituto di statistica di Brasilia, la crescita del primo trimestre del 2014 si è fermata allo 0,2%, in ulteriore calo rispetto allo 0,4% dell’ultimo trimestre 2013. Il livello di investimenti privati è molto basso (il 18% del Pil) e i consumi sono stagnanti. Nenache il grande piano infrastrutturale varato dal presidente Dilma Roussef, che prevede stanziamenti per 300 milioni di dollari, sembra riuscito a risollevare il Paese.
A ciò si aggiungono i tradizionali problemi di una nazione contraddittoria come il Brasile. Nella lista di Stati per uguaglianza di reddito basata sul coefficiente di Gini, occupa il 66° posto su 128, il che dimostra le profonde differenze tra gli strati della società. Gli indicatori sociali lo confermano: il 21% della popolazione vive ancora al di sotto dei livelli di povertà, la disoccupazione si attesta al 16%, la mortalità infantile tocca il 20% (in Italia è del 3,7%), c’è un medico ogni mille abitanti (contri i 3 dell’Italia). Resta inoltre l’eredità storica dei secoli di schiavitù, che si traduce in persistente discriminazione razziale. Anche se è vero che negli anni più recenti questo quadro è stato modificato dall’introduzione di misure di discriminazione positiva a vantaggio di indigeni e afrobrasiliani
I mondiali di calcio, sport che in Brasile venne introdotto alla fine del XIX secolo dai gesuiti, si calano in questa realtà.
Per approfondire:
Andrea Goldstein, Il Brasile tra sviluppo e questione razzialeMilano, 18 giugno 2014 18/06/2014
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