Angeli senza saperlo

Il card. Michael Czerny in Slovacchia: l'evangelizzazione operata dai profughi ucraini

Dal 16 al 18 marzo, il card. Michael Czerny SJ, prefetto ad interim del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale e autore della nostra Rivista, si è recato in Slovacchia per partecipare alla 3a edizione delle Giornate Sociali Cattoliche Europee (Bratislava, 17-20 marzo 2022), incontrando anche la presidente della Repubblica slovacca, Zuzana Čaputová, e il primo ministro Eduard Heger. Si è anche recato nelle regioni orientali del Paese, dove giungono i profughi dall’Ucraina, e ha attraversato il confine per visitare la città di Užhorod. A qualche giorno di distanza, riflette su ciò che più lo ha colpito di questo secondo viaggio, dopo quello che lo aveva condotto in Ungheria.

 

In Ucraina occidentale la maggior parte dei cattolici è di rito orientale: perciò molti sacerdoti che ho incontrato sono sposati e hanno figli. Anziché fuggire verso Occidente, restano con la famiglia per continuare a prendersi cura della gente e dei profughi in transito. Oratori e canoniche diventano rifugi sicuri lungo il cammino verso la salvezza, in cui, a ogni ora del giorno e della notte, è tutta la famiglia del parroco a darsi da fare per accogliere chi ha bisogno.

Siamo abituati a definire angeli quanti si danno da fare per dare una mano a sconosciuti in difficoltà, spesso rimanendo anonimi, come fanno queste famiglie, ma anche religiose e religiosi, preti non sposati, vescovi e molti laici. È giusto chiamarli così, perché lo sono. Ma non sono gli unici: la Scrittura ci invita ad allargare lo sguardo e a renderci conto che anche coloro che vengono accolti possono essere angeli anonimi. La Lettera agli Ebrei ci ammonisce: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Eb 13,2).

Nel mio viaggio ho visto che è vero: lo si capisce dai cambiamenti che accadono in coloro che li accolgono. A Berehove mi sono recato a visitare una residenza per studenti trasformata in centro di accoglienza. Pensavo che avrei incontrato il vescovo e alcuni sacerdoti del luogo. Erano lì, ma insieme a loro c’erano anche i responsabili delle altre comunità cristiane e della comunità ebraica, e il più alto funzionario dell’amministrazione civile. Lo stesso a Užhorod: alla cena con i seminaristi, dopo la liturgia quaresimale nella cattedrale greco-cattolica, erano presenti i responsabili della comunità ebraica e delle altre confessioni cristiane.

Sono rimasto molto colpito, perché in quelle regioni i rapporti tra le diverse confessioni sono spesso problematici e portano il carico di una storia di conflitti e pregiudizi. D’improvviso, la necessità di accogliere i profughi rende possibile, anzi impone l’ecumenismo concreto della solidarietà: incontrarsi e lavorare insieme per dare una risposta a chi è nel bisogno. Farsi prossimi ai poveri e ai vulnerabili avvicina coloro che li accolgono. Quando ci comportiamo come fratelli nei loro confronti, inevitabilmente scopriamo di essere tutti fratelli e sorelle. A dirlo, suona lapalissiano: i fratelli dei miei fratelli sono miei fratelli! Ma nella pratica ce lo scordiamo spesso.

È questa la buona notizia che i profughi ucraini – angeli senza saperlo – annunciano a coloro che li accolgono: non con le parole, e nemmeno con le azioni, ma con la loro semplice esistenza e il loro bisogno di aiuto, che riporta tutti all’essenziale. Tocchiamo con mano la verità profonda delle parole di papa Francesco, che nel n. 198 di Evangelii gaudium, parlando dei poveri scrive: «La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro».

Non accade solo in Ucraina occidentale, ma anche al di qua del confine, nei Paesi dove i profughi arrivano dopo aver finalmente attraversato la frontiera. Per queste nazioni, il loro arrivo costituisce uno stimolo ad aprirsi, a uscire da una chiusura che è una perdurante eredità dell’epoca sovietica. È un cambiamento profondo, improvviso: queste società sono obbligate dalla storia a imparare qualcosa che non conoscevano e non praticavano, ma di cui intuiscono il valore. Vanno rispettate nel loro muovere i primi passi, e non giudicate per le posizioni assunte in passato, in modo che questa esperienza si consolidi e dia forma a un diverso futuro. «Aiutateci a essere di aiuto» è la richiesta che sembra emergere negli incontri con le organizzazioni di solidarietà locali e anche con le autorità pubbliche ai diversi livelli.

Rientrato dalla Slovacchia, sono subito ripartito per Dakar, per partecipare al nono Forum mondiale dell’acqua, a cui ho portato e letto il Messaggio inviato da papa Francesco. A 7mila kilometri dall’Ucraina, il titolo del Forum, “La sicurezza dell’acqua per la pace e lo sviluppo”, rimetteva davanti ai nostri occhi il tema della pace. Il degrado ecologico e i cambiamenti climatici minacciano l’accesso all’acqua di molte popolazioni, che sperimentano siccità sempre più disastrose. L’acqua è destinata a diventare nei prossimi decenni una risorsa estremamente strategica e fonte di possibili guerre e conflitti, in particolare in quelle regioni in cui i grandi fiumi attraversano i confini tra gli Stati, come accade proprio in Africa. «In tutte queste situazioni, – scrive il Papa – l’acqua deve diventare un simbolo di accoglienza e di benedizione, un motivo di incontro e di collaborazione che faccia crescere la fiducia reciproca e la fratellanza». Gestire l’acqua come bene comune e come diritto umano fondamentale e universale è un impegno che coniuga la costruzione della fraternità e la cura della casa comune. Mentre preghiamo e facciamo quanto è in nostro potere perché in Ucraina si arresti questa guerra «ripugnante», dobbiamo anche continuare a guardare avanti per prevenire possibili conflitti futuri.

28 marzo 2022
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