Nell'attuale, lunga fase di crisi economica l’agricoltura italiana sta mostrando una forte capacità di tenuta, di attrazione dei giovani e di creatività nella sperimentazione di nuovi percorsi. Questi risultati, secondo Roberto Moncalvo sono stati possibili grazie alla multifunzionalità, un rinnovato modo di concepire l’agricoltura. L'articolo del presidente della Coldiretti (Confederazione che conta su un milione e mezzo di associati ed è la principale associazione agricola in Italia e in Europa) spiega in che cosa consiste l'agricoltura multifunzionale, che rapporto ha con i temi della sostenibilità e dell'ecologia integrale e quali ricadute culturali, sociali ed economiche implica.
Pubblichiamo di seguito il primo paragrafo, per scaricare l'articolo completo - pubblicato sul numero di maggio 2017 di Aggiornamenti Sociali
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Veniamo da un lungo periodo in cui l’ideologia dell’agricoltura cosiddetta moderna e industrializzata ha creduto che aumentare la produttività significasse aumentare la quantità a tutti i costi. La natura, seppure indispensabile, è diventata allora un ostacolo: troppo “capricciosa”, non si piega alla standardizzazione del processo lavorativo e va sostituita con un suo surrogato «artificializzato».
Con questo non intendiamo condannare in modo pregiudiziale e altrettanto ideologico la tecnica o addirittura la scienza e il progresso. Il punto non è la contrapposizione tra conservazione e cambiamento, tra difesa dello status quo e innovazione tecnologica, dove il primo dei termini dovrebbe incarnarsi nel metodo di produzione “contadino-multifunzionale” e il secondo in quello industriale. Al contrario, la storia degli ultimi decenni e i drammatici scenari attuali dimostrano che una pratica agricola che sviluppi tecnologie, anche avanzatissime, per perseguire l’obiettivo della sostenibilità invece dello sfruttamento delle risorse, che sia ispirata da una logica di cura nel suo rapporto con gli animali, le piante e il territorio, è veramente emancipatoria, produce sviluppo economico e benessere per tutti gli attori coinvolti e per la comunità.
Considerare il cibo una merce qualsiasi, valutarlo solo in base al (basso) prezzo, è stata il più delle volte la chiave scelta dal modello agroindustriale per migliorare la produttività, rinnovare e adeguare la produzione di generi alimentari ai nuovi consumi indotti dai cambiamenti demografici e dal rapporto tra città e campagna. Non era previsto però che il rimescolamento dei limiti di tempo e spazio portasse a disarticolare il processo produttivo, che diventa così un susseguirsi di compiti isolati, lontani geograficamente e temporalmente, a uno scollamento definitivo dell’attività produttiva dal luogo e dal contesto in cui opera, e infine a una specializzazione e divisione dei ruoli tra zone del pianeta che ha scavato la distanza tra i Paesi sviluppati e quelli sottosviluppati. Tutto questo è aggravato dall’azione di imperi agroalimentari che in alcuni casi e in alcune zone operano un vero e proprio accaparramento della terra o dell’acqua, negando il diritto al cibo a milioni di persone costrette a lasciare i propri territori, tanto ricchi di risorse da diventare addirittura una maledizione, per andare ad affollare le baraccopoli nelle periferie delle grandi città.
Un simile modello di agricoltura non è più sostenibile: per il consumo di risorse naturali, per le conseguenze sull’ambiente e sul clima e per il destino di miseria cui condanna milioni di esseri umani. Non possiamo accettare un tipo di agricoltura che diviene, paradossalmente, una delle cause della fame nel mondo.
Per questo siamo chiamati a qualcosa che da sempre è presente nell’attività agricola, in modo poco teorizzato e istintivo, forse, ma evidente nelle sue pratiche, qualcosa che si potrebbe definire, come ha fatto lo studioso di sociologia rurale olandese Jan Douwe van der Ploeg, un “principio contadino”. Esso si esplica in un modo di fare agricoltura basato sulla coproduzione e la coesistenza con la natura, sull’ascolto e l’osservazione di terra, piante e animali, su un saper fare e un’artigianalità che spesso anticipano le conferme sperimentali della scienza; un modo di produrre che crea innovazione tecnica e organizzativa con l’obiettivo di avere, oltre alla produzione di beni, anche qualcosa di più, sintetizzabile nell’idea di costruire una “bella azienda”, che viene dal passato e dovrà durare anche nel futuro.
Tutti questi tratti, che descrivono un modo antico, ma carico di futuro, di concepire l’agricoltura, possono essere racchiusi nel concetto di “multifunzionalità”: l’azienda agricola ispirata a questo principio contadino è un organismo vivo, ben funzionante, che collega la cura delle piante e degli animali alla cura della terra – viva e nutrice –, dell’acqua e delle piante selvatiche, delle siepi e delle aree marginali che proteggono, regalano frutti spontanei e offrono riparo ai piccoli animali. Un’azienda simile crea una comunità fatta di legami che producono conoscenza, solidarietà, sviluppo e benessere.