Gli adolescenti vivono un bisogno fondamentale di socializzazione, che si realizza oggi anche attraverso i social network, a tal punto che la realtà virtuale condiziona l’evoluzione psicosociale dei ragazzi. Ma la socializzazione digitale avviene in un momento in cui il cervello dell’adolescente non è ancora completamente formato. Viene allora da chiedersi in che modo relazioni “reali” e “virtuali” possano convivere in modo autentico e quali competenze sono richieste agli adulti per accompagnare i ragazzi in questa sfida.
Ne parla - in un articolo pubblicato sul numero di dicembre di Aggiornamenti Sociali
- Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Milano. Pubblichiamo due paragrafi del suo contributo. Per scaricare l'articolo integrale clicca qui.
Sociali o social?
Oggi c’è un nuovo elemento che contamina ogni aspetto della vita sociale dei giovanissimi: il loro forte coinvolgimento, attraverso le tecnologie, a giocarsi parte di questi processi anche nella dimensione della virtualità, a instaurare nuove relazioni nel mondo dei social network, a esplorare e moltiplicare identità personali (o esperimenti di esse) attraverso la plurima rappresentazione di sé nel mondo di Facebook oppure all’interno della popolazione degli Youtubers, ovverosia adolescenti che producono video per la piattaforma di Youtube, che quasi sempre hanno per protagonisti se stessi e altri coetanei. Colpiscono la velocità e l’intensità con cui la vita dei ragazzi, nell’arco di un decennio, si è spostata dalla vita reale a quella on line, cambiando atteggiamenti e abitudini degli adolescenti, rivoluzionandone stili comunicazionali e relazionali e trasformando, in qualche modo, anche importanti dimensioni quali-quantitative associate ai loro bisogni e contesti di crescita.
Analizzando l’indagine periodica Abitudini e stili di vita degli adolescenti italiani, promossa nel corso degli ultimi 16 anni dalla Società italiana di pediatria su campioni rappresentativi della popolazione nazionale, ci si rende conto di quanto massicciamente le tecnologie abbiano penetrato lo stile di vita dei giovanissimi. Se nel 2000 solo il 5% degli adolescenti dichiarava di aver utilizzato almeno una volta Internet, nel 2004 la percentuale era già salita al 57%, per approdare al 100% nell’ultima indagine effettuata e resa disponibile, datata 2014. Se nel 2008 il 42% degli adolescenti utilizzava Internet tutti i giorni, nel 2014 questa percentuale è quasi raddoppiata, salendo all’81%.
L’estrema familiarità con il mondo web ha comportato una crescente socializzazione all’interno di piattaforme digitali e attraverso “app” che permettono di mettersi in contatto contemporaneamente con un numero pressoché illimitato di persone. Nel 2014, sempre in base alla ricerca della SIP, l’81% degli adolescenti aveva un proprio account su Whatsapp, il 42% era un membro attivo di Instagram e il 30% dei maschi e il 37% delle femmine risultava iscritto ad Ask, un social network che permette di comunicare mantenendo il proprio anonimato, chiedendo agli altri iscritti qualsiasi cosa, opportunità da alcuni utilizzata in modo alquanto maldestro, tanto da far giungere sulle prime pagine dei giornali episodi molto gravi di cyberbullismo.
Aspetti positivi e negativi della socializzazione on line
Ciò che colpisce non sono semplicemente gli alti tassi con cui gli adolescenti oggi si giocano parte della vita nella dimensione virtuale dell’on line, ma l’arco di tempo in cui questi numeri sono stati raggiunti. La digitalizzazione globale e la virtualizzazione dell’esistenza hanno comportato una trasformazione antropologica molto rapida, interessando in modo particolare i giovanissimi proprio nei loro processi di socializzazione, tanto da lasciare noi adulti spesso “sprovvisti” di competenze adeguate per sostenerne la crescita. Chi lavora a contatto con le famiglie si rende spesso conto di quanto spaesamento e disorientamento ci siano tra i genitori, che si trovano sovente in conflitto tra il loro desiderio di offrire ai figli tutto il meglio (e di conseguenza renderli adeguati per un mondo in cui senza competenza tecnologica rischi di essere un escluso) e la loro preoccupazione di non essere capaci di proteggerne la crescita, in un contesto così poco presidiabile e monitorabile dagli stessi adulti.
Il bisogno di socializzazione dell’adolescente, portato nel mondo web, ha così permesso ai ragazzi di viverne in modo intenso e significativo tutti gli aspetti positivi. Oggi possono rimanere in contatto in tempo reale senza più limitazioni geografiche o problemi di costi: con Skype si può parlare e vedere un amico che abita lontano, con Instagram si possono trasmettere le immagini del proprio “qui ed ora” a qualcuno che si trova a migliaia di chilometri di distanza, i social permettono di ampliare il giro delle conoscenze, esplorare nuove amicizie e contatti, magari selezionandosi reciprocamente in base alle preferenze musicali, alla pregressa partecipazione a eventi pubblici o alla passione per uno scrittore, un artista o il personaggio di una saga.
Ma proprio questa straordinaria velocità di contatto e accessibilità senza limiti ha comportato anche la presa di coscienza di molti aspetti negativi, francamente problematici, connessi alla socializzazione virtuale. Il primo aspetto problematico è rappresentato dal bisogno di essere visti, fino a sconfinare nel narcisismo quasi patologico, tratto assai frequente nel nostro contesto socioculturale, fortemente connotato dal bisogno di visibilità pubblica di ognuno di noi, tanto che alcuni autori definiscono la contemporaneità l’“era del narcisismo”. Un altro problema frequente è dovuto all’attitudine di molte ragazze a trovarsi coinvolte nel fenomeno del sexting, termine inglese nato dalla crasi delle parole sex e texting, che sta a significare l’atto di condividere messaggi, immagini o video dal contenuto connotato sessualmente in modo più o meno esplicito. Questa pratica ha pesanti ricadute proprio sulla dimensione della socializzazione: da una parte trovarsi al centro dei commenti negativi conseguenti alla pubblicazione di proprie immagini sessualizzate comporta infatti ansia, vergogna e ritiro sociale; dall’altra contribuisce al diffondersi di un’altra emergenza, il cyberbullismo, che rispecchia le medesime caratteristiche del bullismo presente nella vita reale ma ne amplifica la diffusione e le conseguenze in funzione dell’anonimato che la rete garantisce al cyberbullo.