Nei giorni scorsi è uscito un tragico dato, reso noto dalla Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana: nel Mediterraneo sono morte, nel 2015, 3.200 persone, il doppio del 2014, tra cui 700 minori. Il problema è che ci stiamo abituando a questa tragica contabilità, e le notizie delle ultime tragedie non sembrano più scuotere le coscienze, come era avvenuto a settembre dopo la pubblicazione della foto del piccolo Aylan.
Nello stesso tempo, l’Unione Europea ha annunciato l’apertura di una procedura d’infrazione a carico di Italia, Grecia e Malta a motivo della scarsa efficienza nell’identificazione dei richiedenti asilo al momento dello sbarco. Per contro, i rifugiati redistribuiti verso altri Paesi sono pochissimi, circa 450, e ora gli attacchi terroristici di Parigi hanno fornito ai governi un facile argomento per compiere un passo indietro.
Dopo un momento di apertura, si torna a cercare d’imporre il rispetto delle convenzioni di Dublino, che sembrano superate prima di tutto nei fatti, con la volontà di molti rifugiati di chiedere asilo in Paesi diversi da quelli di primo ingresso, ma anche nei principi, dopo la faticosa approvazione del sistema delle “quote” di richiedenti asilo da accogliere.
L’altra mossa dell’UE è stata quella di stringere un accordo con la Turchia, promettendo tre miliardi di euro, l’abolizione dei visti d’ingresso per la zona Schengen e l’accelerazione delle procedure per l’ingresso di Ankara nell’UE, a patto che la Turchia si tenga i rifugiati e non li lasci transitare verso il cuore dell’Europa.
Vincono chiusure ed egoismi nazionali, sospinti purtroppo dai cittadini-elettori che in questi mesi si sono pronunciati. Natale si avvicina, ma la svolta promessa in direzione dell’accoglienza si allontana.