Yellow Rose
regia di Diane Paragas
Musical/drammatico, Stati Uniti-Filippine 2019, 94 minuti
«The desert’s no home for a rose» (Il deserto non è casa per una rosa). Così canta Rosario Garcia (Rose, appunto), adolescente filippina cresciuta negli Stati Uniti, che vive e lavora con la madre in un motel nel cuore del Texas. La difficile ricerca di una “casa”, di un’identità, accompagna la protagonista per tutta la durata di questo musical, primo lungometraggio della regista filippina-americana Diane Paragas, selezionato per l’apertura del Los Angeles Asian Pacific Film Festival del 2019.
L’esistenza di Rose è attraversata dalle tensioni tipiche dei giovani immigrati di seconda generazione. La sua pelle, i suoi occhi (che all’inizio del film tenta di “allargarsi” davanti allo specchio), il suo universo familiare fatto di tatay (papà in tagalog) morto anzitempo, di nanay (mamma), e di tita (zia), rivelano le sue radici. La parlata texana, il suo sogno di diventare una famosa cantante country (che la rendono l’unica presenza “non autoctona” in una serata al celebre country dance hall di Austin), il suo non vedere altro futuro se non negli States, urlano il suo desiderio di essere e sentirsi americana.
La ricerca di Rose subisce una svolta drammatica con il fermo e l’espulsione dal Paese della madre, che le rivelano la sua complessa condizione di undocumented immigrant (immigrata irregolare) in un’America ancora pienamente trumpiana. Rose vive ancora più in profondità il suo dramma: rifiutata da un Paese e una cultura che sente come suoi, ma al tempo stesso lontana dalle sue radici filippine.
Comincia la sua fuga, in cui sperimenta la fredda spietatezza di un apparato legale e amministrativo che non riconosce cittadinanza ai suoi desideri, ma anche l’aiuto e il supporto inaspettato di tanti. Paradossalmente, proprio questi eventi la aiuteranno a lasciare il “deserto” e a cominciare a realizzare il suo sogno, sulle note dell’amata musica country. Mentre la madre torna a camminare nelle strade affollate e chiassose di Manila, la figlia vede il suo futuro negli stradoni e nei locali di Austin.
Rose afferma, verso la fine: «This is home for me» (questa è casa per me), pur fra le lacrime. La distanza fra i suoi due mondi rimane, ma Rose comincia a trovare “casa” proprio in questa complessità. Incoraggiando forse noi tutti, immigrati e non, a riconoscere le nostre stesse tensioni e ad abitarle.
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