Il 12 febbraio 1980 Vittorio Bachelet veniva ucciso dalle Brigate rosse all’interno dell’Università La Sapienza di Roma. Con quell’azione terroristica i brigatisti colpirono una figura centrale di quegli anni, impegnata su più fronti e in particolare per una riforma delle istituzioni in grado di tradurre in concreto i principi costituzionali. Guardando alla sua vita e al suo impegno pubblico, il percorso di Bachelet esprime il senso dell’impegno di un credente al servizio delle istituzioni, portato avanti con coraggio e speranza in un momento estremamente difficile della nostra storia repubblicana. A distanza di quarant’anni, qual è l’eredità di Vittorio Bachelet? Quale lezione possiamo trarre dalla sua vicenda politica e dal suo “martirio laico”?
L’impegno ecclesiale
Nato a Roma il 20 febbraio 1926, Bachelet frequentò fin da bambino l’Azione cattolica (AC), prima a Bologna (dove la famiglia si era trasferita nel 1932 al seguito del padre, ufficiale del Genio) e poi di nuovo a Roma. Durante gli anni dell’università, Bachelet cominciò a partecipare alla vita associativa della sezione romana della Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI), assumendo al suo interno responsabilità sempre più importanti, fino a diventare nel 1947 condirettore di Ricerca, il periodico fucino. Sono questi gli anni della formazione e delle scelte fondanti del giovane Vittorio Bachelet, all’interno di una realtà ecclesiale che ancora respirava gli insegnamenti di mons. Montini, assistente nazionale della FUCI dal 1925 al 1933, che proponeva una spiritualità radicata nell’impegno laicale per il servizio alla società. Fatica del pensare, intelligenza della fede e radicamento nella Parola sono state le bussole quotidiane con cui il giovane Bachelet ha cominciato a orientarsi nella vita civile ed ecclesiale di un’Italia che stava vivendo gli ultimi anni di dittatura fascista, una guerra di proporzioni spaventose, una ricostruzione morale e materiale da inventarsi e da ricercare.
In alcuni articoli scritti per Ricerca appare lo spirito con il quale Bachelet viveva quegli anni così decisivi nella formazione integrale di ogni studente universitario: «L’umanità, la Chiesa, la patria, hanno bisogno di un lavoro rude e costante di uomini preparati e capaci, intelligenti e buoni. Il lavoro di formazione e di educazione su cui sempre abbiamo insistito assume oggi un’importanza ancora più grande. […] Noi dobbiamo educarci a un cristianesimo completo, a una cultura vera, a una socialità capace di offrire soluzioni» (Bachelet 1948, 1). Dall’inizio degli anni ’50, Bachelet è impegnato nel Movimento laureati di AC e nella rivista di studi politici Civitas, diretta da Paolo Emilio Taviani. Nel 1959 papa Giovanni XXIII lo nomina vicepresidente generale dell’AC: egli visse intensamente quegli anni, osservando attentamente dall’interno dell’associazione i cambiamenti in atto nella Chiesa, nella società italiana e nel resto del mondo. Ogni intervento di Bachelet, sugli organi associativi come nelle assemblee e riunioni, richiamava con forza il ruolo e la responsabilità dei laici organizzati di essere nel mondo attori e operatori attivi e responsabili, senza sudditanze nei confronti della gerarchia ecclesiastica.
Nel 1964 fu nominato presidente generale dell’AC da parte di Paolo VI, che gli affidò, insieme all’Assistente generale mons. Franco Costa, il compito di traghettare l’associazione nei tempi nuovi che il Concilio aveva aperto, inaugurando una stagione di profonda revisione e di aggiornamento delle strutture interne e dello stesso ruolo dell’AC all’interno della Chiesa e della società italiana. In una relazione di quello stesso anno, dal titolo «Rigenerare la comunità cristiana» (Truffelli 2005a, 247), Bachelet indicò quale metodo adottare per vivere cristianamente: «Un metodo positivo. Guardate alla realtà della Chiesa e del mondo non solo per piangere sulla tristezza dei tempi, ma per scoprire le speranze di arricchimento, le possibilità di bene su cui costruire un avvenire migliore. Guardate alla realtà del mondo non solo per elevare proteste più o meno vibrate, ma per vedere con quali mattoni si possa costruire una casa migliore».
Durante gli anni della sua presidenza, durata fino al 1973, l’AC fu chiamata a un esame di coscienza profondo per ridisegnare il proprio Statuto, le proprie strutture, le proprie modalità di evangelizzazione. È di quegli anni la cosiddetta “scelta religiosa”, ufficialmente riconosciuta da Paolo VI con l’approvazione del nuovo Statuto nel 1969, attraverso cui l’AC cercava di mettere in pratica l’approccio della Chiesa alla società contemporanea proposto dal Concilio Vaticano II. Bachelet la spiegava con queste parole: «Nel momento in cui l’aratro della storia scavava a fondo rivoltando profondamente le zolle della realtà sociale italiana che cosa era importante? Era importante gettare seme buono, seme valido. La scelta religiosa […] è questo: riscoprire la centralità dell’annuncio di Cristo, l’annuncio della fede da cui tutto il resto prende significato. Essa è impegno più rigoroso a ritrovare le radici della fede e a viverla con coerenza» (Truffelli 2005a, 1089). Parallelamente, l’impegno civile di Bachelet si declinò su due fronti: la ricerca accademica nel campo del diritto amministrativo e il coinvolgimento politico e istituzionale.
Bachelet giurista
Docente di Diritto amministrativo e Istituzioni di diritto pubblico presso varie università, il suo lavoro di ricerca giuridica concretizza le aspirazioni che da giovane esprimeva già nei suoi contributi su Ricerca. Una preoccupazione attraversa tutta la sua produzione scientifica: far sì che anche nel diritto amministrativo i principi costituzionali fossero concretamente attuati, nel contesto di una società pluralista. Ciò richiedeva, infatti, un lungo lavoro di riforma e di armonizzazione del diritto amministrativo: perché i principi fondamentali della Costituzione fossero effettivi nella vita dei cittadini, quest’ultima doveva, in qualche modo, “incarnarsi” nella Pubblica amministrazione. Già nel volume del 1957 L’attività di coordinamento nell’amministrazione pubblica dell’economia Bachelet espone la sua interpretazione, alla luce del testo costituzionale, dei rapporti fra economia, Stato, politica e società. Nei suoi scritti giuridici delinea una visione ampia del corpo sociale e politico, nel quale l’equilibrio fra libertà individuali, autorità statale e interessi sociali è perseguito attraverso un’articolazione complessa fra pubblico e privato. Bachelet avvertiva che il lungo processo di democratizzazione della società italiana riguardava anche le istituzioni militari, le quali ebbero un ruolo controverso nel dopoguerra e negli stessi “anni di piombo”: a questa tematica dedicò il saggio del 1967 Disciplina militare e ordinamento giuridico statale.
Il rapporto fra diritto privato e diritto pubblico fu al centro degli interessi scientifici di Bachelet per tutta la sua carriera accademica; in fondo alla questione, cogliamo sempre un tentativo di trovare una ricomposizione all’antinomia fra libertà e autorità, che attraversa tutta la storia del diritto: una problematica che, come riscontriamo anche oggi, appare decisiva per il futuro delle società pluraliste. Per Bachelet si trattava di ricercare, in ogni istituto del nostro ordinamento, che cosa appartenesse al diritto pubblico e che cosa al diritto privato e come le differenze si potessero ricomporre in unità (cfr De Cataldo 2020, 25-28). La sua attività scientifica appare orientata da una passione civile che possiamo definire “cattolica”, non tanto in senso confessionale, quanto etimologico: l’amore per l’unità e la volontà di ricercare il terreno di composizione delle differenze, per rendere possibile il fiorire di una società plurale.
Fedeltà alla Costituzione:
la politica e il Consiglio Superiore della Magistratura
L’impegno politico di Bachelet trovò espressione, come per la maggioranza dei cattolici di quegli anni, nella Democrazia cristiana (DC). È infatti nelle sue file che fu eletto al Consiglio comunale di Roma nel 1976. Durante la campagna elettorale, aveva chiesto di essere votato semplicemente in quanto esperto di diritto amministrativo. Tuttavia questo coinvolgimento politico aprì a Bachelet la porta di un impegno istituzionale più importante, quello di vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Raccontare il ruolo svolto da Bachelet all’interno di questo organo apicale del sistema giudiziario italiano porta inevitabilmente a interrogarsi sui motivi per i quali il giurista divenne bersaglio dei terroristi. Queste ragioni vanno ricercate in un complesso di fattori che riguardano il contesto politico di quel momento, l’azione giudiziaria contro i gruppi eversivi, le riforme in corso in seno alla magistratura stessa e il lavoro svolto da Bachelet nel CSM.
Nel giugno del 1976 le elezioni politiche avevano portato alla formazione di un Governo monocolore democristiano, reso possibile dall’astensione dei comunisti: si apriva così la porta al “compromesso storico” fra DC e PCI nei successivi cinque anni. Come è noto, la volontà di sabotare questo tentativo di convergenza fu la motivazione del sequestro e della successiva uccisione del presidente della DC Aldo Moro.
Nella seconda metà degli anni ’70 la risposta dello Stato ai movimenti eversivi si organizzava in maniera più strutturata, ottenendo i primi risultati giudiziari di rilievo; il 23 giugno del 1978 si concludeva a Torino il processo al “nucleo storico” delle BR, con la condanna dei quarantasei imputati; il processo fu segnato dall’ostentato disprezzo dei brigatisti per la magistratura e dal tentativo di impedire il procedimento, tentativo culminato con l’uccisione, il 28 aprile del 1977, del difensore d’ufficio, l’avvocato Fulvio Croce. I gruppi terroristici reagirono all’azione giudiziaria con una serie di omicidi di magistrati: Riccardo Palma (14 febbraio 1978), Girolamo Tartaglione (10 ottobre 1978), Fedele Calvosa (8 novembre 1978), Emilio Alessandrini (29 gennaio 1979).
In questo quadro si colloca l’attività di Bachelet nel CSM, al quale era stato eletto dal Parlamento nel 1976. Si trattava della prima consiliatura successiva alla riforma del 1975, con la quale entravano nel CSM le correnti organizzate della Magistratura, una svolta in senso pluralista dell’organismo. Bachelet fu eletto vicepresidente con due soli voti di scarto da Giovanni Conso, sostenuto dai membri vicini alla sinistra. Come vicepresidente, egli sostenne un ruolo istituzionale forte del CSM, difendendo l’autonomia della magistratura e la fedeltà ai principi costituzionali. A questo riguardo, fu significativo il parere fortemente critico del CSM al decreto antiterrorismo (D.L. n. 59/1978), varato dopo la strage di via Fani: nonostante le critiche del mondo politico, Bachelet ribadì la sua contrarietà alla legislazione d’emergenza. Ugualmente, il CSM reagì alla campagna di stampa che accusava di lassismo la magistratura di sorveglianza e difese la riforma dell’Ordinamento penitenziario del 1975 (L. n. 354/1975), che aveva introdotto le misure alternative alla detenzione (cfr De Cataldo 2020, 17-23).
Il CSM, durante la vicepresidenza Bachelet, fu pertanto un organismo impegnato nella riforma della giustizia in senso garantista e democratico. Era esattamente il processo riformista che le BR intendevano impedire, allo scopo di alzare il livello dello scontro sociale. Per questo Bachelet finì nel mirino dei terroristi. Nel volantino di rivendicazione (consultabile in <www.csm.it>), le BR motivarono così l’uccisione del giurista: Bachelet avrebbe organizzato la trasformazione del CSM in un organo sotto il diretto controllo dell’Esecutivo; questa lettura, completamente avulsa dalla realtà, restituisce il clima di esasperazione ideologica di quegli anni, al quale Bachelet seppe opporre un impegno costruttivo e dialogico al servizio delle istituzioni. Ci sembra che in questo risieda l’attualità della figura del giurista: davanti alla seduzione di letture semplificate della realtà e alla cultura del conflitto come mezzo di affermazione politica, Bachelet testimonia il valore di una vocazione civile consumata nel lavoro paziente, nella ricerca della mediazione, nell’apprezzamento di tutti gli strumenti istituzionali che ci permettono di vivere come società libera.
Risorse
Bachelet P. – Bachelet A. (edd.) (1992), Gli ideali che non tramontano. Scritti giovanili, AVE, Roma.
Bachelet V. (1962), Disciplina militare e ordinamento giuridico statale, Giuffrè, Milano.
— (1957), L’attività di coordinamento nell’amministrazione pubblica dell’economia, Giuffrè, Milano.
— (1948), «Dopo le elezioni», in Ricerca, n. 8, 1° maggio, 1.
Bindi R. – Nepi P. (1992), La responsabilità della politica. Scritti politici, AVE, Roma.
Casella M. (ed.) (1992), Il servizio è la gioia. Scritti associativi ed ecclesiali, AVE, Roma.
De Cataldo G. (ed.) (2020), Vittorio Bachelet. Gli anni ’70 tra speranze e disillusioni, Consiglio Superiore della Magistratura, Roma.
Marongiu G. – Riviello C. (1992), Costituzione e amministrazione. Scritti giuridici, AVE, Roma.
Preziosi E. (1987), Il tempo ritrovato, Dehoniane, Bologna.
Truffelli M. (ed.) (2005a), Vittorio Bachelet. Scritti ecclesiali, AVE, Roma.
— (ed.) (2005b), Vittorio Bachelet. Scritti civili, AVE, Roma.