Vite ferme. Storie di migranti in attesa

Paolo Boccagni
il Mulino, Bologna 2024, pp. 272
Fascicolo: dicembre 2024

Vite ferme sono quelle dei migranti in attesa del riconoscimento di protezione internazionale che abitano le stanze e gli spazi di un centro di seconda accoglienza di Trento. Paolo Boccagni, docente di Sociologia e diversità e Relazioni interculturali all’Università di Trento, ha frequentato questo centro per quattro anni, visitandolo più volte la settimana. Ha quindi potuto conoscere da vicino le storie delle persone che vi ha incontrato e capire “da dentro” come si vive in un centro di accoglienza.

Come scrive nell’appendice del volume, l’A. ha scelto di adottare uno stile di scrittura prettamente narrativo, eliminando quasi del tutto citazioni e bibliografia, con l’intento di rivolgersi anche a un pubblico non accademico. Questa scelta non solo è più che riuscita, ma soprattutto mantiene, sotto la narrazione coinvolgente, una struttura scientifica, una metodologia rigorosa, lo spessore degli studi e delle ricerche svolte. Il libro in effetti ha il pregio di essere molto ben scritto, scorrevole e accattivante. Non ha in apparenza nulla di accademico, eppure ha molto da insegnare a chi vuole comprendere meglio e più da vicino il mondo dei rifugiati e dell’accoglienza. Si intrecciano quindi tre piani di lettura: l’osservazione partecipante, lo studio sociologico e la dimensione esperienziale, che si arricchiscono a vicenda. L’A. ci porta all’interno del centro, nelle stanze in cui vivono due persone, che prima non si conoscevano, provenienti da Paesi e percorsi differenti, e che al termine dell’accoglienza prenderanno strade diverse. Non viene detto da quale Paese vengono e quali sono state le loro storie prima di arrivare lì. Li conosciamo nel loro stare e abitare il centro, la stanza che li ospita. Una vita che sembra fermarsi in attesa del riconoscimento del loro status e per certi versi viene come infantilizzata dall’assistenza di cui sono oggetto. Questo rende nebbioso il futuro e apatico l’oggi. La stanza è nel contempo casa, spazio intimo, personale, e non-casa, spazio provvisorio, con limiti fragili, poco definiti, in cui altri possono accedere. Noi ci troviamo a essere osservatori con Paolo Boccagni, che è lì e interagisce con loro con uno sguardo non giudicante, simpatetico ma spassionato, senza la pretesa di fornire soluzioni. Questa sensazione è resa ancor più forte dalla suddivisione fatta dall’A. in cinque sezioni corrispondenti ai cinque sensi.

La vista esplora il visibile, così come il non-visibile, perché tenuto per sé o ignorato in particolare da chi vive fuori dal centro. L’udito ci rinvia alla colonna sonora di voci, musiche, programmi televisivi, e così via, a cui si contrappone il silenzio delle persone e delle cose non dette. Il gusto, che rievoca nei cibi sapori e stili di vita dei Paesi di provenienza. Inoltre, mangiare insieme è occasione di convivialità e ospitalità. Tutto questo è rassicurante, fa sentire la persona migrante un po’ meno fuori posto.

L’odorato viene incontro al visitatore e dà, scrive Boccagni, «un senso di chiuso, stantio, ammuffito» (p. 187), di uno spazio chiuso su sé stesso. Vi sono peraltro gli odori legati a chi vi abita, familiari o fastidiosi nella misura in cui vengono vissuti come propri o come portati da altri sconosciuti. Infine, c’è il tatto. È quello che porta con sé la «materialità del presente» (p. 227) ed è quello più penalizzato sia dalla migrazione che trasforma gli abbracci e la vicinanza con le persone care in videochiamate, sia dai limiti imposti dalla pandemia di COVID-19, che caratterizza gli anni cui fa riferimento il libro.

Raccontare le stanze del centro di accoglienza e coloro che ci vivono è un’opzione di senso, come scrive l’A. stesso, che porta con sé un’importante opportunità per conoscere da un punto di vista sociologico e accademico un mondo molto distante o comunque ai margini di quello in cui la maggior parte di noi vive. Conoscere per capire ed essere più vicini a chi è spesso confinato nelle zone d’ombra delle nostre città e della nostra società. La conoscenza si conferma ancora una volta il primo passo verso una reale accoglienza. Si tratta quindi di un libro di grande interesse, per un pubblico generalista, ma soprattutto per chi lavora nell’accoglienza e nei servizi sociali, fa volontariato, vuole accostarsi alla questione dei rifugiati senza ideologismi.

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