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Venezuela, come il chavismo ha messo in ginocchio un Paese

Il rientro in patria di Juan Guaidó, presidente del Parlamento venezuelano, autoproclamatosi Presidente ad interim e riconosciuto come tale da molti Stati occidentali (ma non dall'Italia), riaccende la tensione e gli interrogativi sul futuro del Paese guidato dal 2013 da Nicolás Maduro. Al di là della cronaca di queste ore, è necessario comprendere la complessa situazione sociale, politica e umanitaria in cui versa oggi il Venezuela alla luce del chavismo, al governo da vent'anni, e degli effetti che ha prodotto. Pedro José García Sánchez, docente di Sociologia alla Università Paris Nanterre, analizza le strategie impiegate in questi anni dal regime chavista per conservare il potere e riflette sulle condizioni necessarie per un ritorno alla vita pubblica civile e democratica (l'articolo completo, «Venezuela: dal governo chavista alla rinascita civile?», è pubblicato nel numero di marzo di Aggiornamenti Sociali). 
Molti ancora non capiscono (perché non vogliono o non possono) il prolungarsi nel tempo della crisi venezuelana e l’urgenza generale che regna: il processo in atto, i leader, i drammi, i morti, quanti sono dimenticati, il progressivo deteriorarsi di tutti gli aspetti della vita che tocca il 95% della popolazione. 
Un bambino ha bisogno di vaccini e di cure contro malattie come difterite, morbillo, malaria e non gli bastano né la tessera sanitaria, né la carta d’identità, né l’improbabile aiuto internazionale (lo Stato ha rifiutato per 5 anni di riconoscere l’emergenza medica). Possedere il carnet de la patria (un documento per l’accesso al welfare introdotto nel 2017) gli permetterà solo di alimentare le sue speranze, in mezzo all’opacità coltivata da uno Stato che non pubblica più statistiche sanitarie dopo l’epidemia del virus Chikungunya nel 2014
Lo stigma biopolitico come meccanismo di selezione sociale è un metodo applicato da molto tempo dalla rivoluzione bolivariana. Nel 2003, quasi due milioni e mezzo di venezuelani firmarono la petizione a sostegno di un referendum per rimuovere Chávez dalla presidenza. Poco dopo, a seguito della pubblicazione di un database contenente i loro nomi e recapiti, questi cittadini si son visti privati dei loro diritti civici e lavorativi. La “Lista Tascon” (dal nome del deputato chavista che l’aveva creata) era la pietra angolare di un efficace modello di esclusione: chi vi era inserito era tagliato fuori dalla pubblica amministrazione, così come dai circuiti commerciali, di distribuzione di beni e di assistenza sociale dello Stato. 
I fiumi di persone che abbandonano con ogni mezzo la patria emblematica del “Socialismo del XXI secolo”, nel più importante esodo latinoamericano dell’ultimo mezzo secolo, sono un indicatore indiscutibile dell’ultima generazione di segregati dal chavismo. 4,1 milioni di venezuelani (il 12% della popolazione) hanno lasciato il Paese; il 98% l’ha fatto dopo il 1999: 1,5 milioni fino al 2015 e 2,6 milioni dopo il 2016. 
Questa fuga massiccia dal Paese che conta fra le più grandi riserve di petrolio del mondo è giustificata? Sì, finché la vita quotidiana si svolge sotto l’imperialismo del bisogno e lo sconvolgimento generale tipico delle situazioni difficili. Il 68% dei bambini fino a cinque anni presenta un deficit nutrizionale secondo la Caritas venezuelana. L’iperinflazione ha toccato un milione e mezzo per cento nel 2018 e vi è la previsione che arrivi a dieci milioni nel 2019. L’approvvigionamento è divenuto la prerogativa esclusiva dei comitati patriottici (CLAP) e di reti usurarie o delinquenziali. Tornare a casa senza correre rischi è una sfida quotidiana in un Paese che annovera sette tra le cinquanta più pericolose città del mondo e la cui capitale, Caracas, è al primo posto dal 2014. Sottomettersi alle bande armate (gruppi criminali diretti dalle prigioni, i commissariati o le milizie chaviste) è diventata una pratica normale per le persone che vivono nei quartieri popolari. Paradosso del cinismo sociologico locale: queste bande e milizie sono chiamate “collettivi”. 
Il chavismo al governo ha fatto il passo, molto corto, dal luogo comune secondo cui l’appropriazione-espulsione del pubblico era diventata una necessità al condizionamento totalitario come politica statale. Da quando è salito al potere nel 1998, il suo obiettivo principale è sempre stato di assicurarsi, a qualsiasi prezzo, l’egemonia. Non è possibile che questo potere senza limiti si perpetui all’infinito senza abbandonare gli elementi civili e umani che danno forma alla democrazia moderna e alla civiltà contemporanea. 
L’“impressione” della perpetuità è tanto importante quanto il fatto che il suo “processo” si cristallizzi in modo progressivo. Il chavismo spesso è andato oltre a ciò che una razionalità democratica è pronta ad accettare, come si coglie dall’affermazione di Delcy Rodriguez, che ha guidato l’Assemblea nazionale costituente dal 2017 al 2018: «Non cederemo mai più il potere politico». Bisogna seguire questa pista per capire il gioco di prestigio politico che ha trasformato le elezioni da elemento chiave dei sistemi democratici in strumento che bandisce l’alternanza, annichilisce le garanzie democratiche e fa della perpetuità al potere di un partito il tempo della politica. Svuotare di senso le elezioni – privando il voto della segretezza, dell’uguaglianza e della libertà – illustra bene questo passaggio. Al centro di tutto questo vi è un tecnicismo meccanico: più si automatizza il sistema elettorale, più diviene opaco. Se a questo modello di “agire come se” si aggiunge che le responsabilità in sede elettorale, di mediazione, di statistica, di polizia e di giustizia sono attribuite a quanti sono “leali”, si comprende l’impalcatura di un presente che assicura il mantenimento del potere.
Pensiamo a un’idra e al modo in cui opera: occupa come un parassita gli spazi e si procura di continuo più tempo, rafforzando la propria posizione. La sua traiettoria reticolare seduce per la sua influenza, dato che prevarica con il suo progetto e domina per lo stretto controllo che esercita sul quotidiano. Questa dimensione avvolgente è essenziale per soggiogare: apre le porte della rassegnazione dando l’impressione che, in un contesto di necessità, tutto può essere controllato, dalle elezioni all’acquisto di farmaci. Il passaggio da questa situazione alla tragedia attuale in caduta libera è stato solo questione di tempo. Proprio quello che il Governo chavista e i suoi alleati non hanno mai smesso di cercare di procurarsi: più tempo per dare al loro tragico governo un’apparenza di eternità.

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5 marzo 2019
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