Articolo
Una combinazione di autodeterminazione, relazione e situazione
Stefano Semplici
Professore ordinario di Etica sociale e Bioetica presso l’Università di Roma – Tor Vergata; Presidente del Comitato internazionale di bioetica dell’UNESCO dal 2011 al 2015
Il Gruppo di studio sulla bioetica di Aggiornamenti sociali dichiara di voler proporre un contributo «alla riflessione della comunità cristiana, in spirito di collaborazione ecclesiale e in ascolto del Magistero della Chiesa». Il 22 settembre 2020, data successiva alla pubblicazione del modulo da parte del Gruppo, la Congregazione per la dottrina della fede ha presentato la lettera Samaritanus bonus sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita. In questo testo, che diventa quindi un punto di riferimento obbligato per la verifica di tale impegno, si sottolinea già nell’Introduzione l’importanza di una «crescente e sapiente capacità di discernimento» di fronte al rischio di un «utilizzo sproporzionato e disumanizzante» della tecnologia medica. Sproporzionato rispetto a cosa? La risposta a questa domanda è cruciale anche per le DAT e, in particolare, per il modello proposto dal Gruppo.
La rinuncia a trattamenti «che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita» (n. 2) – così si legge nella lettera della Congregazione – può essere espressa nelle DAT e questa volontà del paziente, una volta escluso ogni atto di natura eutanasica o suicidaria, deve essere rispettata. Quando si può parlare di un prolungamento «precario e penoso»? Il Gruppo di studio punta sulla combinazione di autodeterminazione, relazione e situazione, per sua natura aperta e complessa. Riconoscendo, rispetto a una volontà che si esprime “ora per allora”, il ruolo speciale del fiduciario, che dovrà interpretare, in dialogo con i medici, quella volontà e valutare la proporzionalità dei trattamenti nelle circostanze concrete. La linea è quella indicata, sempre dalla Congregazione per la dottrina della fede, nella Dichiarazione sull’eutanasia pubblicata nel 1980: prendere decisioni in situazioni difficili, che fanno sorgere dubbi sul modo di applicare i principi, spetta «in ultima analisi alla coscienza del malato o delle persone qualificate per parlare a nome suo, oppure anche dei medici, alla luce degli obblighi morali e dei diversi aspetti del caso» (cap. IV).
È intorno a questa tensione che si continuerà a discutere. Il Gruppo di studio punta – almeno questa è l’impressione – a non restringere troppo il margine di discrezionalità dell’interessato, e quindi del suo fiduciario, nella valutazione della proporzionalità di un trattamento. Si citano, insieme all’appropriatezza clinica, la sopportabilità di situazioni invalidanti, la qualità delle relazioni, gli oneri imposti alla collettività. Si assume l’esistenza di posizioni differenziate all’interno della stessa Chiesa cattolica su un tema come quello della nutrizione e idratazione artificiali. Proprio questo esempio illustra le possibili difficoltà. La lettera Samaritanus bonus, come altri testi del Magistero, esclude che possano esserci dubbi sulla prosecuzione di questo sostegno, finché esso raggiunge il suo scopo. E fra i supporti efficaci che non è lecito sospendere vengono anzi aggiunti gli «aiuti adeguati e proporzionati alla respirazione» (n. 2). Ogni riferimento alla qualità della vita appare sospetto, in un testo che si dimostra preoccupato fin dall’Introduzione per il venir meno dei «confini etici e giuridici dell’autodeterminazione del soggetto malato». Insomma: questo modello di DAT, almeno dal punto di vista attuale del Magistero, rischia di apparire una forma di pendio scivoloso. C’è dunque l’ascolto, ma forse anche un invito al confronto…
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