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Un’Unione di mercato e società: la proposta dei vescovi europei

I vescovi europei riflettono sull’obiettivo che l’UE si è data di realizzare un’economia sociale di mercato altamente competitiva.
Fascicolo: marzo 2012

Il 12 gennaio 2011 la Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea (COMECE) ha reso noto un documento, frutto di due anni di lavoro, intitolato Una comunità europea di solidarietà e di responsabilità. Dichiarazione dei vescovi della COMECE sull'obiettivo di un'economia sociale di mercato competitiva all'interno del Trattato sull'Unione Europea (disponibile in inglese, francese e tedesco su <www.comece.org>). La COMECE riunisce i rappresentanti delle Conferenze episcopali cattoliche dei Paesi membri dell'UE, oltre a Svizzera e Croazia, e dispone di un segretariato permanente a Bruxelles. La stesura del documento è stata affidata alla Commissione per gli Affari sociali della COMECE, presieduta dal card. Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga (Germania).
Nel quadro della missione della COMECE - accompagnare il processo politico dell'UE, mantenere un dialogo regolare con le istituzioni europee e incoraggiare la riflessione sui problemi o sulle difficoltà della costruzione europea, ispirandosi all'insegnamento sociale della Chiesa -, la Dichiarazione non intende offrire un insegnamento ex cathedra, ma un contributo alla costruzione di una nuova comprensione comune delle prospettive europee: «durante questa crisi economica abbiamo creduto fosse importante ricordare che l'Europa è molto più dell'euro, più del crollo del sistema finanziario, della crisi del debito sovrano e più dell'economia», ha dichiarato il card. Marx alla presentazione del documento.
Il punto di partenza è il Trattato sull'UE, che, in seguito alle modifiche apportate con il Trattato di Lisbona (2007), specifica che l'Europa si pone l'obiettivo di essere un'economia sociale di mercato fortemente competitiva. Questa espressione indica una concezione politica che associa «il principio della libertà del mercato e lo strumento di un'economia competitiva al principio di solidarietà e ai meccanismi della giustizia sociale» (Dichiarazione, n. 1), cioè una protezione sociale ampia garantita dallo Stato. Si tratta di un orizzonte di grande importanza per l'Europa, in particolare in questo momento di crisi, al quale - nota il documento - occorre ancora dare sostanza. In particolare, l'economia sociale di mercato è un concetto aperto a molte interpretazioni diverse. In questo quadro, l'intervento della COMECE intende contribuire al più ampio dibattito sugli obiettivi dell'idea europea, che non può limitarsi a crescita economica e bilanci in pareggio. Nelle pagine che seguono proveremo a illuminare i termini di questo dibattito, in vista di una presentazione e di una migliore comprensione della Dichiarazione della COMECE.

1. I riferimenti del dibattito

La formula "economia sociale di mercato fortemente competitiva" viene dall'art. 3.3 del Trattato sull'Unione Europea: «L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico».
L'espressione "economia sociale di mercato" è stata elaborata nei Paesi di lingua tedesca, ma è entrata anche nella tradizione costituzionale di altre nazioni europee. Nasce dalla riflessione di economisti e giuristi della scuola ordoliberale di Friburgo (1930-1950) e trova applicazione politica nella Germania occidentale del dopoguerra durante il cancellierato (1949-1963) di Konrad Adenauer, grazie a Ludwig Erhard, ministro dell'Economia, e ad Alfred Müller-Armack, direttore del Dipartimento delle politiche economiche del Ministero. Artefici della ripresa tedesca, contribuirono a porre le basi economiche, culturali e istituzionali dell'UE lavorando con Alcide De Gasperi e Robert Schuman. La scuola di Friburgo afferma la centralità del mercato, senza però farne un assoluto. A riguardo l'economista Walter Eucken (1891-1950), padre dell'ordoliberalismo, scrive: «L'economia deve servire agli uomini viventi e a quelli futuri e deve aiutarli per l'attuazione delle loro più importati determinazioni. [...] Essa ha bisogno di un ordine giuridico garantito e di una solida base morale». Nel 1958, Wilhelm Röpke (1899-1966), un altro esponente della scuola di Friburgo, affermava: «l'economia di mercato non è tutto; essa deve essere sorretta da un ordinamento generale, che non solo corregga con le leggi le imperfezioni e le asprezze della libertà economica, ma assicuri all'uomo un'esistenza consona alla sua natura» (RÖPKE W., Al di là dell'offerta e della domanda. Verso un'economia umana, Edizioni di "Via aperta", Varese 1965, 17).
Sono queste le basi di un concetto che l'UE assume a proprio fondamento e su cui impernia la "Strategia Europa 2020" per il rilancio della propria economia (cfr COMMISSIONE EUROPEA, Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, 3 marzo 2010, COM[2010] 2020 definitivo). Questa strategia, che delinea il quadro dell'economia di mercato sociale europea per il XXI secolo, ruota attorno a tre priorità che si rafforzano a vicenda: «crescita intelligente: sviluppare un'economia basata sulla conoscenza e sull'innovazione; crescita sostenibile: promuovere un'economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva; crescita inclusiva: promuovere un'economia con un alto tasso di occupazione che favorisca la coesione sociale e territoriale» (COMMISSIONE EUROPEA, Europa 2020, cit., 5). Queste priorità si concretizzano in obiettivi da raggiungere entro il 2020 in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale e clima/energia, che ciascuno Stato declina all'interno delle proprie politiche nazionali.
Al di là del dibattito tecnico sulle misure per raggiungere questi obiettivi, per quanto di fondamentale importanza, ci sembra che questa prospettiva di rilancio dell'economia e della società europea si fondi su alcuni punti essenziali.
Il primo è una visione più completa del mercato unico la cui costruzione è stata per molti decenni al centro dell'azione delle istituzioni europee, tanto da apparire ad alcuni la loro unica preoccupazione: «Il mercato unico non costituisce in sé un obiettivo. È uno strumento al servizio delle altre politiche. Se il mercato unico funziona correttamente tutte le azioni pubbliche e private e le risposte apportate alle sfide della crescita, della coesione sociale, dell'occupazione, della sicurezza e dei cambiamenti climatici avranno una maggiore forza per raggiungere i risultati che si prefiggono. [...] In questo contesto è importante tenere a mente che il successo del modello europeo si basa sulla sua capacità di associare prestazione economica e giustizia sociale e di mobilitare, per la realizzazione di questo obiettivo, l'insieme dei protagonisti dell'economia e dei partner sociali» (COMMISSIONE EUROPEA, Verso un atto per il mercato unico. Per un'economia sociale di mercato altamente competitiva. 50 proposte per lavorare, intraprendere e commerciare insieme in modo più adeguato, 27 ottobre 2010, COM[2010] 608 definitivo, 4 s.). Ci sembra interessante sottolineare questa posizione ufficiale della Commissione, che in qualche modo riconosce che oggi, complice la crisi, il mercato unico, per quanto indispensabile, è diventato altamente impopolare, in quanto si è diffusa la percezione che l'enfasi sulle liberalizzazioni sia andata a scapito della tutela dei diritti sociali. L'economia sociale di mercato rappresenta una via di uscita da questa impasse, in quanto suggerisce una strategia che mira «a coordinare più efficacemente l'interazione fra diritti sociali e libertà economiche all'interno del sistema UE» (MONTI M., Una nuova strategia per il mercato unico. Al servizio dell'economia e della società europea, 9 maggio 2010, 76). Da opportunità per alcuni, il mercato unico può diventare così il "bene comune" di tutti gli attori economici europei.
In questa chiave ci sembra assumere un nuovo significato anche l'attributo della competitività con cui l'UE specifica il profilo dell'economia sociale. Certamente riguarda la concorrenza all'interno del mercato europeo, a garanzia della sua efficienza: «La concorrenza di mercato può essere vista, e va vista se vogliamo comprenderla nella sua realtà più vera, come una gara per innovare: chi innova cresce e vive, chi non innova resta indietro e esce dal gioco economico e civile» (BRUNI L., L'imprenditore civile e la virtù dell'innovazione, 13 ottobre 2011, in <www.generativita.it>). Ma soprattutto deve connotare la performance complessiva del sistema UE nei confronti degli altri attori economici globali, a partire da Stati Uniti e Cina. Non si tratta però - ci sembra - soltanto di un miglioramento della competitività commerciale, in vista del mantenimento o del miglioramento delle nostre quote di mercato. A livello globale, la competizione è soprattutto fra modelli sociali, e quello europeo, che pone particolare enfasi su coesione e sicurezza sociale, deve confrontarsi con quello americano, che declina la libertà economica in chiave più individualista, e con quello cinese, che coniuga una crescita tumultuosa dell'economia con il permanere di forti limitazioni dei diritti civili e sociali. Come si vede, in questa competizione sono in gioco le conquiste sociali che contraddistinguono l'Europa.

2. La proposta dei vescovi europei

Con questa prospettiva entra in dialogo la Dichiarazione della COMECE, che si fonda sull'assunto che «fin dall'inizio il progetto di unificazione dell'Europa è stato più che meramente economico; è stato, ed è, un progetto politico e morale, che dovrebbe servire la giustizia e la pace in Europa e nel mondo» (n. 26): è questo l'obiettivo della promozione di un'economia sociale di mercato altamente competitiva, in cui «la competizione è il mezzo e il "sociale" il fine» (n. 6).
Il documento ne illumina i fondamenti antropologici radicati nella tradizione culturale e spirituale europea e ricorda i grandi principi della dottrina sociale, ma articola anche una serie di misure concrete per darvi attuazione: indicazioni per l'UE e per gli Stati membri, per gli imprenditori e i consumatori, per lavoratori e sindacati, come pure per le Chiese, le comunità religiose, le università e le scuole, invitando a tenere conto delle future generazioni e dei Paesi più deboli da cui l'Europa, grazie all'immigrazione, trae non poche risorse. A titolo di esempio, trovano spazio nel documento la proposta di una tassa sulle transazioni finanziarie (n. 9) o il suggerimento di criteri per la limitazione dei compensi per i top manager (n. 8) e di precauzioni da adottare nella normativa europea sui contratti (n. 20), o ancora l'appello a mantenere la promessa di destinare agli aiuti ai Paesi in via di sviluppo lo 0,7% del Prodotto interno lordo (n. 25) o il sostegno alle proposte vaticane per l'istituzione di forme di autorità politica di ampiezza mondiale (n. 25).
Si tratta di misure oggetto di un vivace dibattito, sulla cui efficacia è legittimo dare valutazioni tecniche diverse. Non le esaminiamo in maggiore dettaglio perché non riteniamo che sia questo l'aspetto più stimolante del documento, che va rintracciato invece nella illuminazione delle basi culturali del concetto di economia sociale di mercato, che consente di ampliare lo sguardo rispetto agli orizzonti di pensiero con cui la prospettiva economica e quella sociale vengono pensate, superando approcci ideologici o tecnicistici che, come dimostra la fatica di uscire dalla crisi, oggi non hanno più presa. I vescovi non propongono modelli di società fatti e finiti, né definiscono i dettagli delle misure pratiche che suggeriscono, ma aiutano a mettere in discussione abitudini di pensiero.
Gli spunti che vi abbiamo rintracciato in questa direzione si situano nell'orizzonte che la Dichiarazione propone fin dal suo titolo: il legame tra solidarietà e responsabilità come chiave per il futuro dell'UE: «È innegabile che non ci sarà una economia sociale di mercato in Europa senza una condotta coscienziosa, affidabile e responsabile di tutti gli attori della sfera economica» (n. 8). La solidarietà abbraccia per definizione tutti i membri di una comunità: affermare che la responsabilità ha la medesima estensione significa rimettere al centro dell'attenzione l'articolazione fra i livelli e l'importanza del contributo di ciascuno. Ne seguono conseguenze in tre ambiti.

   a) Oltre l'opposizione tra Stato e privato

Il percorso di evoluzione del welfare europeo è segnato storicamente dall'opposizione di due visioni. Da una parte l'enfasi sul ruolo e la responsabilità dello Stato, intrecciata con una non sempre corretta cultura dei diritti che ha fatto esplodere le istanze di protezione, ha prodotto il gigantismo statale e la burocratizzazione del sistema, che ora sta crollando per le difficoltà delle finanze pubbliche. Dall'altra, gli insuccessi di questo sistema e la giusta domanda di spazi di azione volontaria portano a opporre la "buona volontà" dei singoli o del privato sociale all'azione strutturale, opponendo (erroneamente) la sussidiarietà, intesa come spazio di autonomia, a una solidarietà obbligatoria e freddamente burocratica. Il problema è che in questa dinamica si dissolve il patto tra individui e comunità politica, cioè il capitale sociale che è l'unica possibile base di attivazione delle risorse personali. Il welfare del futuro nascerà nel momento in cui si riuscirà a rompere questo circolo vizioso, rilanciandolo come leva per l'innovazione (cfr MAGATTI M., Il welfare del futuro, 16 ottobre 2011, in <www.generativita.it>).
La prima fondamentale innovazione riguarda la riappropriazione del corretto rapporto sinergico fra Stato e privato, entrambi indispensabili, entrambi, da soli, insufficienti: «Lo Stato è una precondizione di una comunità ordinata, senza la quale lo sviluppo umano integrale è irraggiungibile. I dispositivi di istituzionalizzazione della solidarietà attraverso tasse e contributi sociali furono introdotti perché le iniziative private da sole non erano sufficienti. La forma di solidarietà organizzata dallo Stato è affidabile e stabile, e perciò necessaria. Ma non è abbastanza, in particolare perché manca dell'aspetto della volontarietà» (n. 5). Per questo - prosegue il testo - le forme istituzionali di solidarietà gratuita devono essere preferite a quelle organizzate dallo Stato o affidate al mercato ogni qual volta esse dimostrano uguale efficacia ed efficienza: è questo il significato autentico della sussidiarietà, che non coincide con la tendenza al disimpegno progressivo del "pubblico" e alla privatizzazione del welfare allo scopo di abbattere i costi.

   b) Tra diritto e gratuità

Alla tensione appena ricordata tra le diverse forme di istituzionalizzazione della solidarietà si affianca quella che riguarda il fondamento della titolarità alle prestazioni di welfare, che tradizionalmente oppone diritto e beneficio, o giustizia e carità (nella corruzione assistenzialistica del significato del termine). Il vicolo cieco in cui sembra che le nostre società si siano cacciate richiede di mettere in questione questa opposizione: «appare sempre più chiaramente che in molti Paesi si manifestano minacce alla coesione sociale, nonostante l'elevato grado di protezione sociale, perché non si è tenuto sufficientemente conto del contributo indispensabile delle associazioni a base volontaria e delle iniziative private. [...] Una società non può funzionare solo sulla base di pretese legali, ma ha bisogno di spazi di generosità, in particolare all'interno della famiglia» (n. 4).
Un quadro legale che valorizzi questi spazi e queste iniziative eviterà le trappole della dipendenza e favorirà l'assunzione di responsabilità: solo mobilitando anche le risorse personali si potrà garantire il successo di un welfare che risponda ai diritti e ai bisogni fondamentali non tanto con l'assistenza, quanto con l'attivazione delle capacità.

   c) L'efficienza non è il contrario dell'etica

Nella proposta della COMECE questa dinamica di superamento delle opposizioni è indicata come promettente ben oltre i confini del sistema di welfare. Da molte parti si sottolinea la necessità di un rinnovamento, anche etico, del funzionamento del mercato. Questo risultato non sarà possibile senza la sinergia fra obblighi legali e comportamenti liberi dei singoli: «il mercato europeo ha bisogno tanto di regole, in particolare per il settore finanziario, quanto della virtù dei suoi protagonisti, dagli imprenditori fino ai consumatori. È questione di politiche di regolazione (Ordnungspolitik) e di etica istituzionale, così come di moralità e di virtù» («Introduzione»).
Non è difficile comprendere quanto questa impostazione si distacchi non solo da quella, a lungo prevalente, che identificava nella deregolamentazione e nella presunta amoralità tecnica delle decisioni economiche le chiavi per la tutela dell'efficienza di mercato e l'ottenimento dei benefici che questa promette, ma anche quella, più ambigua, che ritiene la crescita economica una precondizione per la tutela dei diritti sociali, attribuendole di conseguenza una priorità politica. Uscire da questa prospettiva richiede un cambiamento culturale radicale, che passi da una visione dei dispositivi della protezione sociale come strumenti, necessariamente residuali, di contenimento assistenzialistico di emergenze o problemi cronici, alla valorizzazione della loro capacità di svolgere funzioni preventive, promozionali ed emancipative che mettono in grado tutta la società di funzionare meglio.
Su questo punto l'economia sociale di mercato, con tutta la tradizione su cui si fonda, si distacca profondamente da una visione liberista, esattamente perché ripropone all'economia la domanda etica. Non nei termini moralistici dell'elemosina a cui destinare una parte dei profitti, ma attraverso il recupero della relazione tra mezzi e fine: efficienza per quale scopo? E soprattutto, efficienza a vantaggio di chi? (cfr PERROT É., L'Europe et l'économie sociale de marché, in <www.ceras-projet.org>). In questa luce sarà possibile un rinnovamento del dibattito sulla responsabilità sociale d'impresa, altro tema a cui l'UE (e non solo) destina crescente attenzione, e anche collocare correttamente il contributo di risorse che è necessario chiedere al settore finanziario per uscire dalla crisi, ad esempio attraverso l'introduzione di nuove forme di imposizione fiscale: è probabilmente vero che queste ne riducono l'efficienza settoriale - anche se non è chiaro in che misura -, ma a vantaggio della più importante competitività del sistema UE, nel senso che sopra abbiamo cercato di illuminare.

3. È in gioco il futuro

Pur senza una compiuta teorizzazione, è diffusa la convinzione che le questioni etiche siano un lusso difficilmente compatibile con i momenti di crisi, e non solo sul piano personale: ne è prova il generalizzato allentamento delle preoccupazioni ambientali, in particolare rispetto ai cambiamenti climatici. Prendono il sopravvento quelle che la Dichiarazione definisce «soluzioni di mercato motivate da considerazioni di breve periodo» (n. 5), che inevitabilmente portano a una società e a una politica di corto respiro.
In questo quadro la COMECE ripropone con coraggio una visione di lungo periodo, che abbraccia non solo l'intero processo di unificazione europea, ma anche l'elaborazione di quella cultura e di quell'orizzonte di valori che lo sostengono ed esprimono il suo significato più profondo. È il fatto di essere una comunità di solidarietà e di responsabilità che rende l'UE qualcosa di più di un'area di libero scambio o della Comunità economica da cui pure ha preso l'avvio. È questo "di più" che non può andare perduto, anche in mezzo all'attuale crisi, se non si vuole rischiare che l'orizzonte europeo smarrisca ogni legittimazione e attrattiva per i suoi cittadini. Ricordare tutto questo e soprattutto mostrarne la vitalità è il contributo che i vescovi europei intendono dare al dibattito sul futuro dell'Europa.
 

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