Articolo

Un invito al discernimento ponderato e sapiente

Un commento al modulo DAT proposto dal Gruppo di studio sulla bioetica di Aggiornamenti Sociali
Antonio Autiero
Professore emerito di Teologia morale, Università di Münster (Germania)


Il confronto con la morte occupa uno spazio importante nello sviluppo della persona e nell’evoluzione di ogni cultura. Da esso maturano atteggiamenti di segno diverso che vanno dalla negazione all’accoglienza della morte nella propria vita, dalla disperazione alla speranza di fronte al suo ineluttabile destino.

La cultura moderna fa i conti con la morte, nel tentativo poderoso e sofferto di restituirle un volto meno lugubre, recuperandola all’interno dell’orizzonte della vita. La morte si mostra, in talune circostanze, con sembianze di atroce processo, richiedendo forze interiori e risorse esteriori per affrontarne lo stato dolente, il degrado di condizioni, lo smarrimento di senso.

Pensare da vivi alla propria morte è un segno di maturità interiore: questo comporta anche potersi prefigurare i possibili scenari, segnati dagli effetti dell’impatto delle cure mediche nello stato finale della vita. Questa maturità interiore va alimentata da processi educativi, di carattere personale, relazionale, culturale e spirituale e va sostenuta da un impianto di tipo giuridico che regola le responsabilità differenziate del morente, di chi lo rappresenta e di chi lo cura. Proprio a tale processo di maturazione concorrono le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) che da decenni vanno emergendo in diversi contesti culturali e sistemi giuridico-normativi, anche a opera di istituzioni religiose, professionali, assistenziali.

È un bene che organizzazioni afferenti all’opera pastorale della Chiesa si facciano carico di formulare un modello di DAT e di diffonderne la conoscenza, come quello proposto dal Gruppo di studio di Aggiornamenti Sociali. Una simile iniziativa merita ogni considerazione e apprezzamento. Essa costituisce una modalità realistica ed efficace di accompagnare il cammino di vita e il momento terminale che a ognuno toccherà affrontare. In questo si esprime una duplice valenza positiva: quella di sostenere un itinerario pedagogico di maturo atteggiamento nei confronti della morte e quella di favorire, fino alla fine, un ambiente di equilibrio per le decisioni riguardanti lo stato terminale di persone non più in grado di esprimere la propria volontà.

Con tempi e modi diversi, l’accesso a una risorsa così preziosa come possono essere le DAT è stato valorizzato nei diversi contesti ecclesiali. Alcune Chiese locali sono state più solerti, anche in base alle diverse legislazioni vigenti nei rispettivi Paesi. Ora che in Italia le disposizioni legislative lo rendono possibile, è da salutare con interesse e piena adesione il fatto che la Chiesa e le istituzioni ad essa vicine si adoperino per diffondere una cultura della riconciliazione con il proprio morire, anche attraverso l’uso di DAT. È maturo il tempo di riconoscere in questo strumento e nel contesto nel quale esso va inserito, una via efficace per la maturazione di consapevolezza della propria indole di creatura, segnata dalla contingenza e dalla fine, ma anche chiamata ad affrontare responsabilmente il tema del proprio morire, come espressione di soggetto del vivere e non di oggetto da amministrare.

La proposta di DAT qui offerta mette chiaramente in evidenza questo riferimento sia alla prospettiva della fede cristiana che ispira un’idea di essere umano, nel suo rapporto con Dio che lo chiama alla vita e lo fa vivere, sia alla dimensione tipicamente moderna dell’essere umano, che, nella sua responsabilità e nelle relazioni che va a stabilire con gli altri, assume il compito del proprio vivere e la forma del proprio morire.

In questo riuscito esempio di DAT, la declinazione delle possibili situazioni che definiscono lo stato terminale aiuta la persona a entrare realisticamente nella figurazione di ciò che potrebbe accadergli e di scegliere le modalità che meglio rispondono alla sua volontà.

Con un linguaggio preciso e sobrio e con apprezzabile equilibrio riflessivo tra autonomia del soggetto, relazionalità del contesto familiare e sociale e consapevolezza dei compiti professionali del personale di cura, questo esempio di DAT è un invito al discernimento ponderato e sapiente circa le situazioni che possono di volta in volta mutare ed è un segno di accompagnamento sensibile e competente per la maturazione individuale e collettiva di quella umanizzazione della vita che include anche la morte.
Ultimo numero

Rivista

Visualizza

Annate

Sito

Visualizza