Un conflitto che coinvolge anche la dimensione religiosa

Gli studenti e i professori del Pontificio Istituto Orientale (PIO) di Roma, creato da papa Benedetto XV nel 1917 come centro di formazione a servizio di tutte le Chiese orientali, cattoliche e ortodosse, sono particolarmente toccati dalla guerra tra la Russia e l’Ucraina. Tra loro vi sono sacerdoti e religiosi che provengono dai due Paesi in conflitto così come da quelli limitrofi. Da questo particolare punto di osservazione, p. David Nazar, gesuita e Rettore del PIO, ci offre la sua lettura degli eventi in corso, soprattutto per quanto riguarda la dimensione religiosa.  

 

Fin dalla sua fondazione il Pontificio Istituto Orientale (PIO) ha avuto una particolare attenzione per la Russia, testimoniata anche dalla creazione del Russicum, una residenza adiacente al PIO per gli studenti russi e per coloro che volessero esercitare il loro ministero in Russia. Nonostante questa possibilità e l’offerta di borse di studio, sono stati pochi i russi venuti a vivere e a studiare a Roma. Le Chiese ucraine, al contrario, hanno sfruttato molto di più la disponibilità offerta dall’Orientale: dalla caduta dell’Unione Sovietica, gli ucraini sono uno dei gruppi più numerosi del suo corpo studentesco. A oggi ci sono circa un centinaio di ex alunni dell’Orientale in Ucraina, tra cui 17 canonisti e diversi vescovi; inoltre, le relazioni con la Chiesa greco cattolica ucraina e con il suo arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk sono molto strette.

Avendo molti studenti e docenti provenienti dall’ex Unione Sovietica e dal Medio Oriente, vi è una estrema sensibilità sui conflitti politici e sulla guerra, ed è per questo che la comunità dell’Orientale è gravemente preoccupata per l’invasione dell’Ucraina. Tra i nostri studenti ucraini e russi non vi è un conflitto palese. Più in generale, i nostri studenti del Medio Oriente provano la compassione che nasce da una sensazione di déjà vu, mentre tra quelli dell’Europa orientale torna la paura di poter essere i prossimi a dover affrontare una tale situazione. Per questo abbiamo preso molto seriamente l’invito di papa Francesco a digiunare lo scorso 2 marzo, mercoledì delle Ceneri, e gli studenti hanno organizzato una preghiera per la comunità accademica lo stesso giorno.

La presenza delle Chiese in Ucraina

Per gli ortodossi, le Chiese devono essere nazionali, dal punto di vista teologico e amministrativo. Ciò vuol dire che in uno Stato con un’autorità costituita, un linguaggio e una cultura propri, deve esistere una Chiesa autonoma. La Russia, tuttavia, ha usato la Chiesa come un’arma. Alla fine del Settecento Caterina la Grande, dopo aver conquistato le terre dell’Ucraina orientale e della Crimea, ha instaurato la Chiesa russa ortodossa come unica legalmente riconosciuta e ha soppresso tutte le altre Chiese, confiscandone i luoghi di culto e beni. L’Ucraina occidentale, nel frattempo, finiva sotto il dominio austriaco, che invece ha consentito alla Chiesa greco cattolica e a quella di rito latino di continuare a crescere. Durante il periodo sovietico, tutte le Chiese hanno sofferto la repressione o sono state sciolte, sebbene alla Chiesa russa ortodossa presente in Ucraina sia stato concesso di sopravvivere, sebbene ridimensionata. Le Chiese ortodosse, greco cattoliche e latine sono entrate in clandestinità, ma sono riuscite a mantenere una vitalità e un’efficacia sorprendenti. Con la caduta dell’Unione Sovietica sono tornate allo scoperto e hanno recuperato le loro proprietà confiscate. Anche nell’ortodossia vi sono stati dei cambiamenti importanti con la nascita di una Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Kiev, autonoma e non riconosciuta da quella russa, mentre è stata riconosciuta dal Patriarcato di Costantinopoli. Questi eventi hanno determinato una situazione di conflitto sia con la Chiesa ortodossa russa sia con le autorità russe.

La Chiesa russa ortodossa in Ucraina, conosciuta con il nome di Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca, è ancora diffusa ed è associata all’autorità governativa russa e le Chiese ucraine reclamano il diritto all’autonomia garantito dalla tradizione ortodossa. E qui sta il confitto su cui hanno giocato le autorità statali ed ecclesiastiche russe. Quasi metà dei fedeli della Chiesa russa ortodossa si trovano in Ucraina. Di fatto si tratta della metà praticante, dal momento che sono molti gli ucraini che frequentano la chiesa, mentre in Russia i fedeli sono pochi. La Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Kiev è più numerosa e rappresenta la cultura e la lingua ucraina.

Dal momento che la Chiesa ortodossa russa, come Putin, avanza pretese assolute sull’Ucraina, il dialogo con le altre Chiese ucraine è decisamente poco fruttuoso. Essa reclama un’autorità che non ha mai avuto. Putin sostiene che l’Ucraina stia cercando di distruggere la Chiesa russa nel Paese come motivazione aggiuntiva all’invasione in atto, ma la verità è che proprio il suo avventurismo politico ha causato la recente perdita di parrocchie per la Chiesa ortodossa russa, un evento che si è verificato in occasione sia dell’interferenza russa durante la rivoluzione di Maidan del 2014, sia dell’annessione della Crimea, sia dell’incursione in Donbass. Le parrocchie russe ortodosse passano dalla comunione russa ortodossa a quella ucraina, per sottolineare la loro distanza dalla politica della Russia. Per la prima volta, con l’invasione ora in atto, i leader della Chiesa ortodossa russa in Ucraina dissentono fortemente e apertamente dal Patriarca di Mosca, condannando come ingiusta l’invasione russa di un’Ucraina sovrana e del suo popolo innocente. È un momento molto difficile per la Chiesa russa, ironicamente causato proprio dal suo Presidente: mentre cercava di rafforzare l’unità, Putin ha causato una ulteriore rottura.

La reazione degli ucraini

La cultura ucraina è profondamente religiosa e le Chiese hanno molta influenza e autorità sul popolo. La loro voce si è levata alta durante la rivoluzione arancione del 2004 e durante quella di Maidan del 2014. È una voce che reclama fortemente la dignità, l’integrità e la giustizia senza fare ricorso alla violenza. È una voce di difesa, non di aggressione o di ritorsione, ed è qualcosa che corrisponde profondamente al carattere ucraino e, va notato, non vi è conflitto tra il popolo russo e quello ucraino. Il conflitto rimane nelle alte sfere politiche e con gli oligarchi.

Si possono fare fantasiosi appelli alla storia, come Vladimir Putin, ma non vi è mai stato un momento di gioiosa accettazione del controllo russo su zone dell’Ucraina, e ancor di meno per il dominio sovietico. E il fatto che vi siano cittadini ucraini di madrelingua russa non significa riconoscersi in un’identità russa. Per la Russia pre-rivoluzionaria e per l’Unione Sovietica, l’Ucraina rivestiva un’importanza sproporzionata, in ragione della sua ricchezza in termini di agricoltura e di minerali. Le sue coste che si affacciano sul Mar Nero sono strategiche per il commercio, il turismo e la difesa, oltre che per l’accesso al Mediterraneo e ai suoi mercati. L’Ucraina produceva il 25% della ricchezza dell’Unione Sovietica, in particolare gran parte della produzione e manifattura dei metalli. La nostalgia di Putin per l’Unione Sovietica in parte si basa sulle opportunità di ricchezza e di collegamento con il resto del mondo che l’Ucraina offre.

Tuttavia, l’Ucraina non si sottometterebbe al dominio russo né per motivi politici né per motivi religiosi. Il suo popolo e le sue Chiese sono sopravvissuti a 70 anni di governo sovietico grazie al loro carattere sanguigno e alle loro attività durante la clandestinità. Se necessario, lo faranno ancora. I tentativi di invasione di Putin sono molto più deboli di quelli sovietici. Putin è circondato da una cerchia che va restringendosi di personaggi dell’ex Unione Sovietica che hanno la sua stessa visione, che vogliono restaurare un impero, Ma come hanno dimostrato le manifestazioni popolari in Russia, il popolo non supporta questa sorta di avventurismo. C’è un detto sovietico che recita: «Se io non posso avere qualcosa, farò in modo che nemmeno tu possa averla». Quindi nel lungo periodo, pur non potendo approfittarsi degli ucraini, Putin potrà fare grandi danni allo Stato e alla sua popolazione e ai loro vicini. Gli Stati che aderivano al Patto di Varsavia stanno guardando agli eventi con trepidazione, perché sono convinti che dopo l’Ucraina toccherà a loro. L’Occidente potrebbe sorridere a questo pensiero, ma è profondamente e giustamente radicato nei Paesi confinanti.

Un’occasione per il popolo russo

Ironicamente, gli ucraini sentono che il loro conflitto con la Russia potrebbe essere il punto di svolta per la Russia stessa, l’occasione di conversione. Era una convinzione comune durante la rivoluzione di Maidan del 2014, quando il Presidente ucraino riceveva gli ordini di Putin in tempo reale, come fu in seguito ammesso. La speranza era che se gli ucraini fossero riusciti a far fronte alla violenza con la non-violenza, non solo avrebbero vinto la battaglia, ma avrebbero sconfitto definitivamente la distruttiva ideologia di stampo sovietico e i russi avrebbero potuto gustare nuove libertà.

Il popolo russo non è libero di leggere ciò che desidera, i media nazionali sono pesantemente controllati e fuori da Mosca la povertà è molto forte. Le elezioni sono apertamente manipolate e la politica nazionale è dominata dagli interessi di chi è corrotto. Se si riuscisse a dimostrare che l’attuale autoritarismo russo può essere spezzato o che non merita nulla, per la prima volta nella storia il popolo russo potrebbe avere la possibilità di creare la propria nazione. Si tratta di un punto di vista ucraino che dà maggior dignità alla loro sofferenza. È corretto considerare la guerra non come una battaglia fra due nazioni, ma tra due visioni del mondo, una delle quali è propria solo della Russia.

La solidarietà dimostrata dal resto del mondo è un fenomeno nuovo, che si è visto raramente, forse solo in occasione del boicottaggio del Sudafrica alla fine del secolo scorso. Il supporto morale e materiale per l’Ucraina è essenziale, non solo per l’Ucraina stessa. Come diceva Solženicyn dell’Unione Sovietica, per abbatterla occorre una costante pressione morale sostenuta da aiuti materiali, non la guerra.

13 marzo 2022
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