Il 26 gennaio si è svolta a Strasburgo la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte europea dei diritti dell’uomo. In quella occasione è stata anche diffusa, ancorché in versione provvisoria, la relazione sull’attività della Corte nell’anno 2017.
Ne emerge il quadro di una Corte, che, nelle sue varie articolazioni giudiziarie, ha saputo gestire dinamicamente un ruolo caratterizzato da un numero impressionante di ricorsi, recuperando anche sull’arretrato. I casi pendenti sono 56.250 alla fine del 2017, il che significa una riduzione di circa un terzo rispetto ai 79.750 del 2016. Ciò è dovuto sia all’aumento dei giudizi di inammissibilità dei ricorsi, ma anche all’intensificarsi della prassi della riunione dei ricorsi e alla radiazione dal ruolo di molti ricorsi. Ma anche, è innegabile, alla aumentata capacità della Corte di esitare le proprie decisioni.
Una Corte in buona salute, dunque, e capace di fare al meglio il proprio mestiere pur in un contesto, quale quello attuale, assai diverso dai gloriosi tempi dell’esordio.
È innegabile, infatti, come mostra la non invidiabile graduatoria degli Stati parti per numero di condanne, che la tutela dei diritti umani come la si intende nei Paesi dell’Europa occidentale fatica ad affermarsi nei Paesi che si sono in passato ispirati ad altre visioni politico-economiche. Svetta al primo posto per numero di condanne, infatti, la Russia, seguita dalla Turchia, dall’Ucraina, dalla Romania e dalla Bulgaria.
E va indubbiamente ascritto a merito della Corte quel misto di prudenza e di determinazione con cui porta avanti il suo difficile compito: quello di operare per l’affermazione di standard di tutela dei diritti di marca “occidentale” cui quei Paesi devono ancora evidentemente abituarsi. È un compito, diremmo così (e lo diciamo in verità da tempo), di prezioso “accompagnamento” verso standard più elevati di tutela dei diritti umani quello che la Corte svolge verso questi Paesi.
Al tempo stesso, lo registra puntualmente il citato rapporto, anche Paesi di più risalente e sicura tradizione nella tutela dei diritti individuali, le strategie di “accompagnamento” poste in essere dalla Corte si rivelano produttive. Si pensi alla tutela dei diritti dei reclusi in Italia, dove la sentenza pilota della Corte sul caso Torreggiani ha prodotto significativi miglioramenti quanto al sovraffollamento delle carceri grazie senz’altro all’impegno delle autorità competenti, ma anche alla nettezza dell’atteggiamento della Corte.
Così la Corte si riconferma (è questo del resto l’assunto dal quale muove il nostro blog) insostituibile strumento per la costruzione di una “civiltà europea dei diritti” che ci restituisca una Europa più coesa e democratica.