Tutela del patrimonio culturale e diritti fondamentali

Rosario Sapienza
Si discute da tempo se, accanto ai diritti fondamentali spettanti all’individuo, ci siano diritti che spettano alle collettività, in quanto tali. Si risponde comunemente di sì. E ci si chiede pure se questi diritti collettivi siano azionabili anche da parte di singoli individui che facciano parte di quelle collettività. Anche qui si risponde di sì. 

Ci si chiede ancora se i diritti collettivi possano essere ripensati e riformulati come diritti fondamentali dell’individuo. Qui la risposta è un pochino più difficile. Qualcuno dice sì.  Ma è vero che tutto può diventare oggetto di un diritto fondamentale spettante a ciascuno, ad ogni singolo individuo? Credo di no francamente, anche se certo si tratta di un tema ormai ineludibile: non foss’altro perché molti Stati, incluso il nostro, vivono di un rapporto costituzionale con le cosiddette comunità intermedie e si pongono il problema di come tutelare gli individui anche all’interno o aldilà di quelle stesse collettività. Ma a ciò aggiungo che il tema è urgente perché l’idea dei diritti umani comincia a piegare verso una ricostruzione eccessivamente “individualista”, quella di diritti di un individuo astratto e scarnificato, un “uomo senza qualità” insomma.  Val la pena di ragionarci sopra, dunque.

Prendiamo, ad esempio, l'articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo che afferma che "Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici. Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore".  Se la seconda frase fa un chiaro riferimento alla esigenza di protezione del diritto d’autore, non è ben chiaro a quale situazione faccia riferimento invece la prima frase, quando dice “diritto di prendere parte liberamente…”. 

A quali ipotesi ci si riferisce concretamente? Non è facile rispondere, dato che, se tutti convengono che la dimensione culturale sia una componente fondamentale della identità di un popolo o di una comunità, non è altrettanto chiaro attraverso quali percorsi logici si possa giungere a riconoscere una posizione individuale suscettibile di tutela al riguardo. 

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha fino a questo momento riconosciuto tutela al diritto alla differenza culturale degli appartenenti a minoranze (vedi tra le tante decisioni  Sidiropoulos et alii c. Grecia; Chapman c. Regno Unito), ma non mi pare si sia spinta fino a teorizzare appunto il diritto individuale nei termini in cui esso è enunciato nella Dichiarazione Universale.

Non mi pare poi che questo risultato sia raggiunto (contrariamente a quel che comunemente si dice) nemmeno dalla Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, aperta alla firma nel 2005 a Faro in Portogallo e firmata dall’Italia nel 2013. E’ pur vero che questa Convenzione, meritevole di attenzione per aver introdotto la nozione di patrimonio culturale europeo, distinto dai singoli patrimoni nazionali,  identifica il patrimonio culturale per dir così “dal basso”, e cioè a partire dall’esistenza di “comunità patrimoniali”, ossia comunità concrete che “sentono” un bene come parte del proprio patrimonio. Ma per sua stessa natura, credo, il diritto al patrimonio culturale non può che essere un diritto collettivo, essendo la cultura un fatto collettivo.

Insomma il ragionamento andrà proseguito e raffinato, ma fin da questo momento sembra almeno probabile che ci siano diritti che possono essere riconosciuti solo a determinate persone in virtù di loro particolari qualità e non a tutti senza distinzioni.
21 maggio 2015
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