La prima giornata della Conferenza sul clima è stata dedicata alla sessione di apertura e all'evento che ha coinvolto i leader del pianeta. Capi di Stato e di governo di tutto il mondo sono stati invitati dal presidente della Repubblica francese a venire a Parigi per mostrare il loro sostegno alla 21a Conferenza delle Parti della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (in una sigla, Cop21).
La risposta è stata impressionante: i 150 leader arrivati a Parigi avevano tre minuti ciascuno per lanciare un messaggio. L'aspettativa maggiore era sui discorsi del Presidente Usa, Barack Obama, e del presidente cinese, Xi Jinping: entrambi hanno dato un messaggio di sostegno ai lavori, dicendosi disponibili ad accettare un accordo vincolante con l'impegno a rivedere gli obiettivi ogni cinque anni. Questo potrebbe essere il risultato più probabile se la conferenza non si perderà lungo il cammino.
Ma oltre alle dichiarazioni politiche il dibattito è anche sui soldi, perché se si raggiungerà un accordo, esso dovrà tenere in considerazione le conseguenze finanziarie, al fine di essere concretamente attuabile e non restare solo sulla carta. Nel dicembre 2009, alla Cop15, le parti hanno concordato nuove modalità per convogliare fondi pubblici e privati sulla lotta al cambiamento climatico. Per questo i Paesi sviluppati si sono impegnati a fornire nuove risorse, arrivando a sfiorare i 30 miliardi di dollari all'anno per il triennio 2010-2012. Questo impegno collettivo è stato chiamato il "Fast-Start Finance" (FSF). Successivamente, in occasione della Cop19 (Varsavia), il piano è stato rinnovato e prolungato fino al 2020. È stato poi messo a punto un ulteriore, nuovo strumento finanziario: il Green Climate Fund (GCF).
L'aspirazione di questi
strumenti finanziari è quello di raccogliere finanziamenti pubblici e privati per i Paesi in via di sviluppo, entro il 2020, «da una grande varietà di fonti, pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, tra cui fonti alternative»: l'obiettivo è arrivare a 100 miliardi di dollari all'anno.
Un recente Rapporto pubblicato dall'Ocse offre un'approfondita spiegazione di come questi meccanismi finanziari hanno operato negli ultimi anni. Le statistiche dimostrano che siamo ancora lontani dai 100 miliardi all'anno, di certo è stato fatto uno sforzo, ma siamo ancora a metà strada e abbiamo solo quattro anni per raggiungere gli obiettivi.
I finanziamenti pubblici e privati mobilitati sono stati stimati in 62 miliardi di dollari nel 2014, contro i 52 miliardi del 2013 (dunque con una media di 57 miliardi di dollari all'anno per il 2013-2014). Queste stime comprendono sia soldi pubblici erogati da governi donatori attraverso vari strumenti e istituzioni, tra cui i prestiti non agevolati, sia finanziamenti privati per progetti legati al clima mobilitati da finanziari pubblici nei Paesi industrializzati.
La finanza pubblica, bilaterale o multilaterale, ha rappresentato oltre il 70% dei flussi durante il 2013-14, mentre finanza privata ha mobilitato il 25% dei crediti (la parte restante sono crediti all'esportazione).
Il Rapporto dell'OCSE evidenzia infine che il 77% di quelli che possiamo genericamente indicare come «finanziamenti per il clima» è indirizzato verso obiettivi di mitigazione del cambiamento climatico, solo il 16% verso l'adattamento ai cambiamenti climatici e il 7% per attività aventi a oggetto entrambi questi problemi. È sorprendente che la quota per progetti dedicati all'adattamento sia così bassa, se si pensa che molti degli effetti del cambiamento climatico sono già irreversibili. In molte regioni del mondo l'adattamento è l'unico modo per far fronte alla situazione: la distribuzione dei fondi dovrebbe prendere in considerazione questo aspetto.
Se davvero vogliamo ottenere miglioramenti reali, abbiamo bisogno che a Parigi si trovi un accordo politico, ma abbiamo bisogno anche di accordi finanziari concreti e sostanziali.