The Old Oak
regia di Ken Loach
Gran Bretagna, 2023 drammatico, 113 minuti
«When you eat tighether, you stick together», si legge sotto una delle vecchie fotografie che tappezzano il locale sul retro dell’Old Oak, uno scalcagnato pub di una cittadina mineraria del nord dell’Inghilterra impoverita e semiabbandonata. Significa «Quando si mangia insieme, si è uniti» e racconta di una antica solidarietà fra gli abitanti della città che durante uno sciopero avevano messo in comune il poco che avevano per resistere più a lungo. Come si intuisce dalle prime fasi del film, che si svolge nel 2016, sono tempi andati, di solidarietà non ne sembra rimasta traccia e all’Old Oak, l’ultimo locale rimasto aperto, gli avventori abituali sono pieni di astio e recriminazioni, specchio di quell’Inghilterra risentita che nel giugno di quell’anno avrebbe votato la Brexit.
Questi precari equilibri si sgretolano definitivamente quando nelle case sfitte della città viene ospitato un gruppo di profughi siriani, tra cui spicca la figura della giovane Yara, appassionata di fotografia, che stringe da subito una improbabile quanto forte amicizia con il proprietario del pub, TJ, un uomo solo e intristito dalle disgrazie che piano piano sembra ritrovare speranza nello spendersi e nel mettersi in gioco per i nuovi arrivati. Riapre così lo spazio sul retro del pub, dove riprendono i pranzi di solidarietà, coinvolgendo sia la comunità di profughi sia buona parte della cittadina e dove tutti si sentono accolti e stupiti di poter trovare qualcosa – e soprattutto qualcuno – con cui trascorrere il tempo.
Ma non tutto è facile e Ken Loach, lucidamente, ci ricorda che quella dell’accoglienza e dell’integrazione è una strada irta di ostacoli. Il rovescio della medaglia della povertà diventa la paura di vedersi togliere anche quel poco che si ha, e così, gli habitué del pub fanno di tutto per mettere i bastoni tra le ruote di questa inziativa solidale ricorrendo a cattiverie e meschinità che alla fine costringono TJ a richiudere il locale, almeno provvisoriamente. Ma i legami che si sono creati nella condivisione, come si vede nel finale del film, reggono, e a prescindere dal luogo e dalle scelte di ciascuno, la nuova comunità è forte e vitale. È questo il messaggio che ci consegna Ken Loach in quello che potrebbe essere il suo ultimo lungometraggio: vale la pena costruire, sempre, perché il miglior motore per la vita è avere speranza.
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