The Game è il titolo dell’ultimo libro di Alessandro Baricco, che racconta pregi e difetti, luci e ombre della società digitale: letteralmente la società che digita. L’A. ha scelto questa immagine per descrivere la leggerezza, la semplicità e l’inconsistenza esistenziale che caratterizzano questo nostro tempo dove tutto sembra essere un Gioco, il “Game”, appunto.
Il “Game”, dice l’A., ha stravolto le vite di ciascuno. Ha modificato i legami familiari, amicali e professionali. Ha mutato il concetto stesso di spazio e tempo, ha cambiato radicalmente i modi di comunicare, di relazionarci, di informarci, di fruire della cultura e anche di formarci politicamente e di esercitare la cittadinanza. Su quest’ultimo punto Baricco fa anche dei richiami ai neopartiti (p. 224), che fanno di Internet un tramite imprescindibile nella divulgazione dei loro contenuti e nella raccolta del consenso. Si riferisce a quei movimenti, soprattutto, che hanno raccolto l’esigenza di «restituire a tutti il diritto di avere una presa diretta sul reale e il dovere di scegliere e prendere decisioni» (p. 227). Il richiamo è anche alle degenerazioni paradossali che ne conseguono in termini di aumento di odio e di egoismo di massa che, con la diffusione dei media digitali, sono sempre più presenti e a tratti incontrollabili, come i radicalismi e i fondamentalismi.
Il testo ha la forma di un romanzo, più che di un saggio. La scelta narrativa prevede il dialogo con il lettore, a cui l’A. racconta di se stesso, della propria esperienza nel mondo digitale, di quello che ha capito (e anche di quello che socraticamente sa di non aver capito). E vaga, anzi “naviga” pescando nella storia, quella nota e quella no. Ricorda il primo gioco per personal computer, Spacewar, del 1972, il primo sito web di Tim Berners-Lee del 1991, l’invenzione dell’algoritmo di Google nel 1998 e anche l’audizione di Mark Zuckerberg al Senato statunitense nell’aprile 2018. Ricorda, soprattutto, il memorabile lancio dell’iPhone di Steve Jobs nel 2007, in cui si condensava la possibilità per il «nuovo-uomo» di accedere al «Tutto» (p. 230) e giocare. Nel frattempo Playstation, WhatsApp, Facebook, Linkedin, Twitter, Instagram, Snapchat e molto altro sono diventati i vocaboli del nostro glossario minimo. Come lo erano carta, penna, calamaio, libro, quaderno per le generazioni prima di noi.
Baricco, per scelta stilistica, concede al suo lettore dei richiami concettuali e storici. Li chiama mappa mundi per orientare nella scoperta, per non far perdere le coordinate. Sa che la materia è complessa, ampia e il rischio di imbottire di nozioni e informazioni chi sfoglia il testo è grande. Sa che ciascuno di noi ha ereditato e trasposto anche nei libri che legge l’attitudine a saltellare di frase in frase, di pagina in pagina. Per cui evita le subordinate complesse, i bizantini espedienti linguistici.
Il suo intento è raccontare l’“Oltre-mondo”, ossia «quelle milionate di pagine Web che attualmente dimorano in un non-luogo virtuale ma a fianco del mondo vero» (p. 87), che costituiscono un nuovo habitat per la nostra esperienza digitale. «Quella copia di mondo allestita dal Web» (p. 84), più accessibile di quella reale, dove ci si può muovere con assoluta libertà e velocità, senza i vincoli macchinosi e gli ordini ottusi del vecchio mondo.
L’A. racconta quindi una verità ineluttabile: la realtà è a doppia forza motrice. Le dimensioni virtuali dei mezzi digitali sono parte stessa della realtà perché attraverso di essi comunichiamo e ci relazioniamo agli altri, aumentando la nostra esperienza fisica e sensoriale nel mondo. Materiale e virtuale si fondono, ormai, in un’unica grande Cosa. E dentro questa Cosa l’uomo-tastiera-schermo esiste. Il motivo? Cerchiamo di produrre senso al nostro quotidiano in un tempo in cui l’immobilità e la fissità sono demonizzate. Il motto di Steve Jobs “Stay foolish, stay hungry” (siate folli, siate affamati) ne è un emblema. Lo dimostriamo scorrendo compulsivamente (e anche voyeuristicamente, talvolta) i social network alla ricerca di qualcosa di interessante; leggendo titoli di notizie sul web senza addentrarci in profondità nelle informazioni; saltellando nella programmazione televisiva dei bazar telematici delle nostre SmartTV, dove sono in vendita gli irrinunciabili nuovi prodotti di consumo con la formula “Prova e disdici quando vuoi”. Slogan vincente di una nuova cultura globale hungry che divora senza impegno.
Baricco chiama “umanità aumentata” questa condizione, nella quale tutti gli strumenti digitali di cui ci circondiamo non sono sostitutivi e alternativi alla vita vera. Sono invece protesi, che estendono la nostra esperienza fisica e sensoriale della realtà. Attraverso di essi prende forma una post-esperienza elaborata di sé. Il che comporta, ritornando ad esempio a quanto accade sui social, anche l’ipertrofia dell’ego. Gesti a prima vista innocui come i selfie e i post celano, talvolta, una ricerca spasmodica di autocompiacimento, d’approvazione sociale, di consenso. La conseguenza è l’a-socializzazione e, dunque, quella stessa solitudine da cui si cerca di sfuggire.
Per tracciare delle alternative, l’A. ricorda il sogno foolish e quindi folle di chi, memore delle grandi guerre, volle creare una società libera da élite, caste e senza confini, dove fosse impossibile il rimanifestarsi della tragedia del Novecento.
Il nodo del testo risiede proprio nel recupero del sogno dei pionieri, degli artefici di quella insurrezione mentale che ha prodotto poi una rivoluzione tecnologica. Baricco non si addentra nella narrazione del progetto militare statunitense di Arpanet degli anni ’60 durante la Guerra fredda. Dice poco di questo progenitore di Internet e non esplicita il racconto di come le infrastrutture tecnologiche siano servite, e continuino tuttora, a generare e governare conflitti su scala planetaria. Ciò che gli interessa evidenziare è il portato controculturale che Internet stesso ha prodotto con la sua diffusione prima nelle università e poi nel resto della società. Il riferimento è agli ingegneri californiani, agli hippie insofferenti del mondo com’era. Quelli che negli anni ’70 nei loro mitici sottoscala si diedero da fare, traducendo le proprie competenze e curiosità scientifiche in un progetto di una società libera dalla paura perché interconnessa e quindi impossibile da manipolare, controllare, e sopratutto indirizzare – di nuovo – verso il baratro della guerra. Baricco ricorda che il “Game” è nato proprio per reagire allo shock del Novecento, quello della Shoah, del Vietnam e della paura atomica. Quel secolo che, dice lui, è forse l’espressione più atroce della civiltà umana caduta in rovina dopo essersi raffinata, nel corso della storia, con le arti e l’umanesimo.
L’A. ricorda che la rivoluzione digitale, e quindi l’idea di portare un PC su ogni scrivania, il sapere in ogni casa, l’informazione in ogni momento, era un modo innovativo di scomporre il potere e ridistribuirlo alla gente e per tutto ciò c’era bisogno di nuovi strumenti per non compiere i vecchi errori. Aspirazioni generose che, tuttavia, si sono scontrate con i meccanismi del mercato, pronti a far sorgere nuove élite e nuovi monopoli: «nato come campo aperto capace di redistribuire il potere, il Game è diventato preda di pochissimi player che praticamente ingoiano tutto, sovente addirittura alleandosi. Stiamo parlando di Google, Facebook, Amazon, Microsoft, Apple» (p. 239). Questi, insieme a molte altre grandi corporation, dice l’A, grazie alle loro sempre crescenti disponibilità finanziarie comprano l’innovazione, fanno incetta di brevetti, trafficano idee e notizie mortificando così la creatività, l’estro, la genialità: «il Game finisce per realizzare un genocidio degli autori, dei talenti, perfino delle professioni» (p. 240).
Ma non tutto è perduto, l’umanità-aumentata è ancora possibile. Un’altra insurrezione è obbligatoria. A partire dagli sforzi che l’ultimo grado d’evoluzione dell’homo sapiens, l’uomo-tastiera-schermo, è chiamato a compiere.
Sono 25 le tesi che Baricco elenca per una nuova era che rimetta al centro l’umanità e che sappia risolvere l’individualismo ed egoismo di massa causato, anche, dai virus che inaspettatamente hanno infettato il “Game”. Una su tutte – la numero 23 – avrebbe certamente meritato un ulteriore approfondimento. Quella sul ruolo politico di Internet e delle tecnologie digitali da una prospettiva che non sia quella capitalistica occidentale. C’è bisogno di talenti cresciuti nella sconfitta e che abitano i margini. Si riferisce forse alla necessità di uno sguardo nuovo sul “Game” dalla prospettiva di quella «gente che inizia ad odiarlo. Tecnicamente allineata, e mentalmente dissidente» (p. 242)? Bisogna fare allora una seconda guerra di resistenza, meglio di resilienza. E questa volta contro le derive delle nuove élite delle imprese miliardarie che vendono, apparentemente senza costi, vie di fuga per la noia quotidiana utilizzando spregiudicatamente la ricchezza più grande: i nostri dati.
Per vincere questa nuova partita bisogna affidarsi alle Contemporary Humanities e quindi a quelle discipline che siano in grado di sintetizzare armoniosamente gli algoritmi e l’umanesimo, la tecnica con le arti e l’introspezione filosofica. «Nei prossimi cento anni – afferma l’A. – mentre l’intelligenza artificiale ci porterà ancora più lontani da noi, non ci sarà merce più preziosa di tutto ciò che farà sentire umani gli uomini» (p. 323). È questo il cuore del testo che Baricco però ha scelto di non argomentare al pari di altre questioni, lasciandolo sospeso e appena accennato.
Il richiamo alle sensibilità e alle arti come soluzione umana alle derive tecnologiche è però una sfida certamente importante e rappresenterà un campo di riflessione per chi vorrà, nel futuro prossimo, cimentarsi su questi temi.