Territori e potere

Un nuovo ruolo per gli Stati?

Sabino Cassese
il Mulino, Bologna 2016, pp. 130, € 12
Scheda di: 
Fascicolo: giugno-luglio 2017

Nell’epoca della globalizzazione c’è ancora spazio per lo Stato così come lo conosciamo? È ancora pertinente e sensato individuare nel territorio, nel popolo e nella sovranità gli elementi costitutivi di uno Stato, quando esistono «territori senza governi, frontiere mobili, regolazioni globali dettate da regolatori senza territorio, unità sovrastatali che conquistano lentamente il dominio su territori prima interamente statali, persone residenti su un territorio senza esserne cittadini» (p. 10)? Sabino Cassese, esperto di diritto amministrativo di fama internazionale, con la sua usuale competenza e uno stile chiaro, animato dall’intento di aiutare il lettore a farsi un’idea più precisa su quanto sta accadendo allo “Stato” in questo momento storico, affronta questi interrogativi nei tre capitoli che compongono il volume Territori e potere.

Il dato di partenza della riflessione dell’A. è che i cambiamenti prima menzionati non costituiscono una novità, ma «nuova è la dimensione che essi stanno raggiungendo» (ivi). In effetti, sono rimessi in discussione da diversi punti di vista gli elementi che il pensiero giuridico e politologico ha individuato nel corso del tempo come fondativi dello Stato moderno, la cui nascita è fatta risalire al 1648 con la firma del Trattato di Westfalia, che segna la fine di trent’anni di guerra in Europa e il riconoscimento della piena sovranità territoriale in capo agli Stati del tempo.

Il concetto di ordinamento statuale che ereditiamo dalla storia fa perno sull’esercizio di un potere originario e indipendente su un territorio definito da frontiere a beneficio della vita di una comunità costituita dai cittadini, chiamati a esercitare i propri diritti e adempiere i propri doveri. Tuttavia questi aspetti sono oggi in fluida evoluzione. Gli esempi riportati dall’A. illustrano bene i tanti profili che sono in gioco e che spesso si intrecciano tra loro. Le istituzioni internazionali come l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) o l’Unione Europea, ad esempio, disciplinano materie tradizionalmente rientranti nella sfera della sovranità statuale, che così ne risulta limitata. Anche il rapporto tra lo Stato e i suoi cittadini va ripensato se si considera che sempre più persone (oggi circa 250 milioni) vivono in Paesi diversi da quello di nascita e che nel 2015 quasi 4 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare il loro Paese per chiedere rifugio in un’altra nazione, ritrovandosi così prive della protezione legata allo status di cittadino. Gli stessi confini che delimitano uno Stato stanno sperimentando cambiamenti notevoli e talora contraddittori tra loro. Attraversare i confini diviene sempre più facile per alcuni e difficile per altri, mentre la loro individuazione muta. Dal 1996, ad esempio, le frontiere degli Stati Uniti ai fini dell’immigrazione non coincidono più con quelle ufficiali, ma sono arretrate di 100 miglia; in questo modo gli immigrati irregolari scoperti in questa fascia hanno meno garanzie perché si considera che siano stati fermati sulla linea del confine. Contemporaneamente la circolazione dei beni, facilitata anche da internet, è notevolmente accresciuta a livello mondiale, superando le barriere tra i diversi Stati. Da qui la constatazione che «i confini divengono manipolabili. La cittadinanza perde di importanza. La sovranità da esclusiva diventa condivisa» (p. 72).

Nel libro Cassese non si limita a registrare ed elencare i cambiamenti in atto, ma ne analizza la portata e le conseguenze sull’ordinamento statale, collocandole in una prospettiva più ampia. Di grande utilità è, in particolare, la rassegna storica e teorica fatta nel primo capitolo per riconoscere che ha poco senso parlare di “Stato” come di una nozione assodata e uniforme, che non necessita ulteriori specificazioni o precisazioni. Gli Stati europei nascono nell’epoca moderna dal convergere di una pluralità di fattori – le spinte alla conquista bellica, l’affermarsi di un apparato centrale a servizio del principe, un comune patrimonio culturale – e si trasformano nel corso dei secoli, passando da monarchie assolute a regimi retti dallo Stato di diritto, in cui si introducono man mano elementi democratici (in primis l’allargamento dei titolari del diritto di voto, superando i limiti dovuti al censo prima e al genere dopo). Gli stessi compiti affidati agli Stati non sono certo rimasti immutati. All’inizio del Novecento la nascita del welfare state ha segnato una forte e del tutto inedita presenza statuale nella vita economica e sociale dei Paesi occidentali, un ruolo che è stato poi rimesso in discussione alla fine degli anni ’70 dal processo delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni. Nello stesso periodo gli organismi sovranazionali contribuivano a ridimensionare il ruolo dello Stato, delineando una nuova figura di governo a livello globale e contraddistinta dal carattere tecnico, definita dall’A. con la formula inglese Global polity.

Molti osservatori giungono alla conclusione che la figura dello Stato sia ormai destinata al tramonto, un capolinea che suscita preoccupazioni anche per la tenuta democratica dei nostri Paesi: «Se lo Stato è il luogo dove si è sviluppata la democrazia, che cosa succederà a quest’ultima se lo Stato dovesse scomparire o divenire meno importante?» (p. 38). Tuttavia per Cassese il de profundis dell’istituzione statuale è quanto mai prematuro. I recenti eventi – in particolare la globalizzazione e le liberalizzazioni – stanno determinando una trasformazione dello Stato, che «si sta solo autoricostruendo per adattare le proprie strutture e funzioni a nuovi ambienti, in modo da superare le proprie debolezze interne» (p. 40). In effetti, le vicende degli ultimi anni hanno costretto gli Stati a ridefinire i propri ambiti di intervento e compiti – dovendo, tra l’altro, rispettare limiti e vincoli provenienti da fonti esterne, come il riconoscimento internazionale dei diritti umani – e a condividere con altri l’esercizio della loro sovranità. Ma questo ridimensionamento si è anche tradotto, forse in modo paradossale, in opportunità inattese per i singoli Stati, che hanno la possibilità di intervenire in campi altrimenti preclusi o nei quali non avrebbero avuto una forza sufficiente per imporre le proprie politiche. D’altronde, il destino delle istituzioni sovranazionali è legato a doppio filo a quello degli Stati membri, dato che esse si fondano sugli Stati e non possono esistere senza: le loro politiche finiscono pertanto per sostenere le azioni statuali e per garantirne nel tempo l’esistenza. Basti pensare, ad esempio, all’impegno delle Nazioni Unite a sostegno dei cosiddetti Stati falliti.

In conclusione, lungi dall’essere superata, l’istituzione statuale ha rivelato una grande duttilità: è capace di adattarsi a condizioni nuove, di individuare soluzioni efficaci per problemi inediti, come quelli che oggi si pongono a livello di territorio, popolo e sovranità. La storia relativamente breve dell’Unione Europea, trattata nel terzo capitolo, costituisce un buon esempio di questa intrinseca vitalità degli Stati nazionali, che hanno dato vita a questa nuova costruzione istituzionale che per l’A. è «il corpo politico più importante nato negli ultimi secoli, dopo la costruzione, alla fine del XVIII secolo, degli Stati Uniti d’America» (p. 13). Essa è cresciuta nel corso del tempo grazie alle varie crisi che ha man mano attraversato e superato; in tutte queste fasi il ruolo degli Stati è stato centrale, avendo saputo «indirizzare, accelerare, frenare» un processo da loro voluto e intrapreso, stabilendo «tempi e modi dell’integrazione» e fissando «le regole di trasformazione del nuovo corpo politico» (p. 125).

La duttilità e l’intrinseca resilienza dello Stato, sottolineate da Cassese, fanno emergere un aspetto su cui siamo chiamati a vigilare: lo Stato in quanto concetto giuridico e politologico potrebbe essere definito neutro, come purtroppo ci ammoniscono gli esempi dei regimi dittatoriali nel Novecento europeo. La duttilità può quindi tradursi anche nella scelta, certamente non auspicabile, di assetti prevaricatori dei diritti dei singoli e delle collettività. Un rischio che diviene più concreto quando le istituzioni e la società civile di un Paese, anche di tradizione democratica, devono affrontare crisi difficili per un tempo protratto. In questa prospettiva, la realtà attuale della Global polity costituisce un elemento importante: oltre alle forze interne di una nazione, l’ancoramento democratico di un Paese può essere sostenuto dai numerosi vincoli nati con la globalizzazione e con i trattati internazionali nei molteplici settori. Senza costituire garanzie ultime, esse rappresentano comunque ulteriori baluardi e rafforzano la consapevolezza dei vincoli di solidarietà e di reciproca dipendenza esistenti all’interno della comunità internazionale. Resta fermo e fondamentale però riconoscere che né l’istituzione Stato né i legami figli della globalizzazione possono interamente sostituirsi ai necessari anticorpi che le forze della società civile pongono a presidio del vivere insieme democratico in una comunità.

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