È ormai evidente e ampiamente riconosciuto che le trasformazioni tecnologiche della società digitale e, nello specifico, l’universo dei social network, abbiano radicalmente mutato modi, forme e linguaggi della politica, con particolare riguardo alle tecniche di costruzione del consenso. Si tratta di una rivoluzione che obbliga a dotarsi di strumenti d’analisi e interpretazione inediti e che merita di essere indagata da una prospettiva multidisciplinare che metta al centro non soltanto le pratiche di gestione e fruizione delle piattaforme, ma anche e soprattutto il significato stesso di democrazia, la sua essenza, gli spazi di vulnerabilità che rischiano di minarla e i saldi e resistenti anticorpi che la possono salvare. Da questa convinzione prende le mosse il volume di Giovanni Ziccardi Tecnologie per il potere. Come usare i social network in politica, edito da Raffaello Cortina.
L’A., giurista di formazione, docente di Informatica giuridica all’Università degli studi di Milano e coordinatore del Centro di ricerca in Information Society Law (ISLC), ripercorre il delicato e controverso rapporto tra politica e tecnologia, dai tentativi di condizionamento su scala internazionale alla crescente affermazione delle tecnologie di gestione dei big data, dalla diffusione dell’hate speech (i discorsi carichi di odio e dileggio che trovano facile risonanza sui social network) alla questione della tutela e salvaguardia dei dati personali e delle informazioni sensibili. Lo fa cercando di tenere sempre vivo il dialogo tra due livelli: uno più teorico e metodologico finalizzato a fornire nuove linee di ricerca nel campo delle scienze sociali e politiche e uno di carattere pratico-operativo che restituisca ai social network (e a chi con essi opera) l’ambizione di «diventare un grande strumento (e ambiente) non solo di efficienza persuasiva e di aggregazione politica ma anche di cultura e libertà» (p. 12). Una strada che necessita di un approccio differente nei confronti delle tecnologie e delle piattaforme, che sappia trovare il giusto bilanciamento tra un’adesione acritica e spontanea alle opportunità fornite dalle reti digitali e una sua eccessiva criminalizzazione, invitando a un’analisi sempre più competente e dettagliata delle stesse e, soprattutto, a «un uso etico e smart delle tecnologie anche in politica» (p. 11).
In cinque agili capitoli, il volume di Ziccardi si snoda attraverso un percorso che mescola e tiene insieme almeno tre livelli prevalenti: uno sguardo storico volto a ricostruire le evoluzioni dell’universo digitale, dagli entusiasmi pionieristici degli anni ’60 alle problematiche attuali, un approccio prettamente politologico interessato a districare il nodo della relazione tra mezzi di comunicazione e sistemi democratici, infine un livello strettamente giuridico orientato alla definizione dei confini, dei rischi e delle sfide della cybersecurity.
Il primo capitolo introduce il tema dell’utilizzo delle tecnologie da parte dei leader politici, muovendo dall’idea romantica dei movimenti contro-culturali californiani che negli anni ’60 immaginavano il dispiegamento di un futuro di libertà ed eguaglianza sociale grazie alla diffusione degli strumenti tecnologici; passando attraverso il mito della democrazia diretta e della «push-button democracy» (p. 16), teorizzata da Stefano Rodotà, l’A. si sofferma poi sui casi più rilevanti che hanno segnato l’attività dei politici e delle campagne elettorali in Rete, su tutti la capacità di mobilitazione di Barack Obama nel 2008 e 2012, per arrivare al resoconto degli esempi italiani più noti, da Matteo Renzi a Silvio Berlusconi, da Matteo Salvini a Luigi Di Maio, ciascuno con il proprio seguito di followers e il proprio bagaglio di strategie comunicative orientate alla disintermediazione e alla ricerca di un contatto diretto con l’elettorato e la cittadinanza.
Il secondo capitolo indaga la questione più ampia del rapporto tra social media e potere, elemento sostanziale per il mantenimento di elevati standard qualitativi di una democrazia. Ziccardi si chiede, non senza una punta di ironia e amaro sarcasmo, se la progressiva perdita di centralità e autorevolezza dell’informazione tradizionale non abbia trasformato i media da “cani da guardia” del potere (per usare un’espressione particolarmente diffusa negli ambienti giornalistici statunitensi) a più probabili «cani da riporto» (p. 51); in altri termini, i media tradizionali hanno smarrito il loro ruolo di tramite della comunicazione politica, oggi basata su un modello di rapporto diretto con il cittadino, che i leader raggiungono sul suo smartphone, oggetto quantomai personale. Di conseguenza, in un ribaltamento del processo comunicativo classico, oggi i leader politici occupano il centro della scena, dettando attraverso le proprie esternazioni su Facebook o Twitter non solo l’agenda politica, ma anche quella informativa, mentre i media si trasformano da fonti autorevoli in strumenti di risonanza al servizio dei contendenti. A ciò si aggiunge il tema delicato della “disinformazione”, spesso volutamente alimentata dagli stessi cittadini i quali «preferiscono crogiolarsi in notizie false ma più vicine al loro modo di sentire, evitare la discussione o la valutazione di ipotesi possibili e rimanere nella propria bolla, che raccoglie solamente le idee di chi la pensa come loro» (p. 51). È questo il funzionamento di Facebook, che propone sistematicamente all’utente contenuti simili a quelli che già in precedenza quest’ultimo aveva mostrato di gradire, fino a creare per ognuno un mondo virtuale a misura personale, nel quale difficilmente trovano spazio stimoli critici. Non si può negare che, spesso, gli utenti dei social media siano vittime e complici di tale meccanismo.
Nel terzo e quarto capitolo vengono invece analizzati aspetti più tecnici che riguardano da un lato l’impianto delle architetture informatiche e dall’altro l’influenza sulle politiche di sicurezza e protezione dei dati. In particolare, a fare da sfondo alla riflessione di Ziccardi è il recente scandalo di Cambridge Analytica che ha gettato più di un’ombra sulla trasparenza delle piattaforme di social network e sul loro ruolo all’interno delle campagne elettorali delle democrazie occidentali e che ha messo in luce la profonda contraddizione (emotiva, psicologica, giuridica) che regola il funzionamento di questi strumenti. Più i social network «stimolano a divulgare informazioni della vita privata» e più queste generano traffico e apprezzamento, più al contempo è possibile, attraverso il sistema degli algoritmi, ordinare «tutte queste singole e frammentate manifestazioni d’emozione per dar vita a una nuova mappa delle preferenze dell’individuo» (p. 117).
Infine, l’ultimo capitolo del volume riflette sul lato oscuro della Rete: fanno ormai parte della quotidianità la creazione di falsi profili, il confezionamento e la diffusione di fake news, la proliferazione di bot informatici – programmi che interagiscono autonomamente sui social network, comportandosi come utenti umani – che generano post, commenti, pagine finalizzate a distorcere e orientare il sentimento dell’opinione pubblica. Si tratta di un problema cruciale, un attacco che chiama in gioco non solamente le libertà individuali ma gli architravi stessi della convivenza civica e politica. Riportando una riflessione di Antonello Soro, Garante per la protezione dei dati personali in Italia dal 2012 al 2019, l’A. richiama quattro aspetti chiave che rappresentano «i punti di vulnerabilità del sistema democratico» (p. 210), portatori di possibili stati di alterazione degli equilibri istituzionali e costituzionali: a) l’attacco al pluralismo, attraverso la selezione e il filtro di determinati contenuti; b) l’attacco alla corretta informazione dei cittadini, in un sistema che tenderebbe a offrire notizie mirate e non verificabili; c) l’attacco alla libera formazione del consenso elettorale, che deriverebbe dal ricorso a una logica esasperata degli algoritmi per cui una proposta differente dai gusti abituali e prevalenti dell’utente viene automaticamente esclusa; d) l’attacco alla diversificazione dell’offerta politica e alla condizione di parità nella competizione, con evidenti ripercussioni sulla visibilità di formazioni e soggetti politici meno esposti da un punto di vista mediatico.
La riflessione di Ziccardi contribuisce a squarciare un velo di opacità intorno a un tema che interseca disinformazione, erosione dei corpi intermedi, disparità delle risorse, controllo e sorveglianza dei cittadini; tutti aspetti che accompagnano da decenni il dibattito politico e filosofico sul senso delle nostre democrazie, le loro fragilità e il rinnovato ruolo di fronte a uno sviluppo tecnologico che è sempre più dominio di pochi conglomerati mediali dalle enormi disponibilità economiche. In un’epoca che segna il passaggio dalla «campagna permanente» alla «persuasione permanente» (p. 120), per indicare la totale esposizione del cittadino-utente ai messaggi dei social network e alla “dittatura” della profilazione di tutte le nostre attività, preferenze ed emozioni, l’A. invita a riscoprire un utilizzo etico, corretto e responsabile dei social media che possa aiutare a tenere in vita quell’ideale di “democrazia ben funzionante” di cui scrive Cass R. Sunstein, e che intende promuovere la libertà di scelta del cittadino, tutelandolo dai condizionamenti illegittimi, come quelli impercettibili e nascosti negli algoritmi.
In definitiva, Tecnologie per il potere è un volume che aiuta a dipanare quei fili oscuri e complessi che governano le società digitali contemporanee, sebbene assuma una prospettiva prevalentemente giuridica e informatica, che rischia di non cogliere la portata del fenomeno nella sua interezza, nei suoi risvolti sociali, culturali e anche antropologici. Un glossario finale consente al lettore di orientarsi in una selva di concetti, tecnicismi e terminologie ancora sconosciuti ai più, ma con i quali è importante familiarizzare.