Il rotolo di Rut è uno dei migliori esempi dell’arte narrativa biblica. La sua trama propone una vicenda a prima vista minore, che riguarda poche persone: la storia del matrimonio fra una ragazza povera e un ricco possidente. Dall’antichità fino ai nostri giorni, decine sono le narrazioni che ripercorrono quest’intreccio con infinite varianti. Ma nel racconto vi sono alcuni singolari e importanti dettagli: Rut, così si chiama la giovane donna protagonista del libro biblico, è vedova e straniera, senza genitori, né figli, né mezzi di sostentamento. Non ci vuole molta fantasia per immaginare che il suo problema sia trovare un buon partito. Ma la storia si complica perché Rut non è sola, con lei c’è la suocera, Noemi, anch’ella vedova e rimasta senza figli dopo la loro prematura scomparsa, cioè priva di una discendenza. Le vicende delle due donne s’intersecano, dando vita a un singolare e straordinario racconto, che non si limita a presentare i loro itinerari personali, ma affronta un interrogativo di fondo, che toccava da vicino il popolo di Israele e che è ancora ben attuale: è possibile che la fecondità passi anche per l’accoglienza di chi è straniero, estraneo al gruppo a cui si appartiene? Alla fine la straniera Rut troverà in Booz un marito ricco e generoso e Noemi proprio grazie alla nuora vedrà una discendenza, di cui farà parte anche il re Davide; tuttavia nella storia non è importante solo l’esito finale, ma anche la via attraverso cui vi si arriva, riconoscendo un modo diverso e forse spiazzante di come Dio è presente nelle vicende narrate.
Il diverso come minaccia alla «stirpe santa»
Si comprende la forza del racconto di Rut confrontandolo con due altri libri biblici, Esdra e Neemia, che ci offrono uno spaccato del ritorno dall’esilio di Babilonia e della fondazione della teologia e della prassi dell’ebraismo postesilico, detto poi “giudaismo”. Il filo rosso che attraversa quei racconti è l’idea della sacralità. Se caratteristica di Dio è la santità, essa si trasmette alla città, al tempio, ai sacrifici, alle offerte e al popolo, con un’estensione sempre più grande che tocca lo spazio, il tempo e le persone. In un’epoca di pluralità ma anche di confusione, Esdra e Neemia intendono offrire criteri oggettivi per definire i puri, ponendo un freno a ogni infiltrazione e diversità. Nasce cioè l’esigenza di costituire una stirpe santa (Esdra 9,2). Da qui l’invito di Esdra agli Israeliti: Voi avete prevaricato sposando donne straniere: così avete accresciuto le mancanze d’Israele. Ma ora rendete lode al Signore, Dio dei vostri padri, e fate la sua volontà, separandovi dalle popolazioni del paese e dalle donne straniere (Esdra 10,10-11). Esdra poi interviene su tutti i matrimoni misti (cioè le unioni fra Israeliti e donne straniere) e i figli nati da essi: mogli e figli sono radiati dalla comunità dei puri (cfr Esdra 9,1-2 e Neemia 13,23-25 nel riquadro qui sotto).
Sono preparate liste di proscrizione con i nomi di coloro che avevano contratto matrimonio con una donna straniera – si tratta di un lungo e impressionante elenco (cfr Esdra 10,18-43) – e, alla conclusione del libro, il terribile ordine di Esdra è eseguito: Tutti questi avevano sposato donne straniere e rimandarono le donne insieme con i figli (Esdra 10,44).
A fronte di questa ideologia, che individua nell’esclusione delle donne straniere la soluzione dei problemi in un tempo difficile, il libro di Rut appare in tutta la sua forza polemica. Nonostante la vicenda sia ambientata ai tempi dei giudici (cfr Rut 1,1), prima di Samuele, essa è stata redatta molto più tardi. Gli esegeti hanno analizzato con attenzione la lingua del libro, giungendo alla conclusione che esso, con tutta probabilità, è stato composto dopo l’esilio (datato fra il 586 e il 538 a.C.), ossia nello stesso periodo di cui ci parlano i libri di Esdra e Neemia. Le posizioni reazionarie di questi due libri sono profondamente contrastate dall’esempio di una donna moabita, considerata maledetta dalla Legge, che diviene la bisnonna del re Davide. Non poteva esserci dialettica più efficace: lo stesso Davide, il grande re d’Israele, il destinatario delle promesse di Dio, ha nel suo sangue le tracce di un’antenata moabita.
Esdra 9,1-2
1 Terminate queste cose, sono venuti da me [Esdra] i preposti per dirmi: «Il popolo d’Israele, i sacerdoti e i leviti non si sono separati dalle popolazioni locali, per quanto riguarda i loro abomini, cioè da Cananei, Ittiti, Perizziti, Gebusei, Ammoniti, Moabiti, Egiziani, Amorrei, 2 ma hanno preso in moglie le loro figlie per sé e per i loro figli: così hanno mescolato la stirpe santa con le popolazioni locali, e la mano dei preposti e dei governatori è stata la prima in questa prevaricazione».
Neemia 13,23-25
23 In quei giorni vidi anche che alcuni Giudei si erano ammogliati con donne di Asdod, di Ammon e di Moab; 24 la metà dei loro figli parlava l’asdodeo, nessuno di loro sapeva parlare giudaico, ma solo la lingua di un popolo o dell’altro. 25 Io li rimproverai, li maledissi, ne picchiai alcuni, strappai loro i capelli e li feci giurare su Dio: «Non darete le vostre figlie ai loro figli e non prenderete le loro figlie per i vostri figli o per voi stessi».
Rut e l’appartenenza a Israele
Dopo la morte del marito Elimèlec e dei figli Maclon e Chilion, Noemi decide di tornare dalla terra di Moab, dove la famiglia era migrata a causa di una carestia, nella sua terra, a Betlemme. Allorché le sue nuore Orpa e Rut prendono l’iniziativa di seguirla verso Betlemme, Noemi vede nel loro gesto un segno di bontà (l’ebraico usa qui il pregnante termine chesed che significa “bontà, amore, lealtà”), che supera quanto esigerebbero i legami parentali, ma cerca di convincerle a desistere. Di fronte all’insistenza della suocera, Orpa si accomiata, Rut invece non si staccò da lei (letteralmente: «s’attaccò a lei» [Rut 1,14]), ma decide di rimanere con la madre del suo defunto marito: Dove morirai tu, morirò anch’io e lì sarò sepolta (Rut 1,17). Rifiutandosi di abbandonare sua suocera, Rut non compie un “ritorno”, perché non appartiene a Israele, ma di sicuro vive una “conversione” (in ebraico il verbo šûb indica l’una e l’altra cosa). La donna sceglie di appartenere a un popolo dove sarà straniera e si converte a un Dio di cui conosce, per ora, solo il volto oscuro e minaccioso, visto che – secondo quanto ha detto Noemi – egli ha fatto morire il suocero (Elimèlec), il marito (Maclon) e il cognato (Chilion) (cfr Rut 1,13). Se Noemi cerca di fuggire dalla terra che l’ha privata del marito e dei figli, Rut abbandona la sua terra e i suoi parenti, scegliendo liberamente di stare con la suocera, al di là di ogni dovere che la consuetudine e la legge d’Israele le imponevano.
La svolta di Rut è tutta nelle sue parole: Dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio (Rut 1,16-17). Si tratta di una dichiarazione molto solenne, una vera e propria professione di fede nel Dio d’Israele. Tale dichiarazione ricorda la formula dell’alleanza nel profeta Geremia: Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni – oracolo del Signore –: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo (Geremia 31,33). Nonostante l’esplicita dichiarazione della Torah (cfr Deutoronomio 23,4) che escludeva tutti i Moabiti dal popolo d’Israele, Rut fa una chiara professione di fede in Dio e diventa parte integrante del popolo eletto. Legandosi a Noemi, Rut aderisce all’alleanza d’Israele al punto che può invocare il Signore come garante della promessa di fedeltà al suo nuovo popolo. Il Dio di Israele è ormai il suo Dio. Il Targum, traduzione della Bibbia in aramaico con talora alcune aggiunte esplicative, ben conscio dell’importanza di questa svolta, pone sulle labbra di Noemi un vero e proprio esame della neoconvertita (cfr il riquadro qui sotto).
Targum
Disse Rut: «Non insistere con me affinché io ti abbandoni per ritornare indietro, perché io desidero essere proselita». Disse Noemi: «Ci è stato comandato di osservare i sabati e i giorni festivi, senza camminare per più di duemila cubiti». Rispose Rut: «Dovunque tu andrai io andrò». Disse Noemi: «Ci è stato comandato di non passare la notte insieme ai gentili». Rispose Rut: «In ogni luogo nel quale risiederai, abiterò». Disse Noemi: «Ci è stato comandato di osservare seicentotredici precetti». Rispose Rut: «Ciò che osserva il tuo popolo lo osserverò anch’io, come fosse il mio popolo da sempre». Disse Noemi: «Ci è stato comandato di non praticare un culto straniero». Rispose Rut: «Il tuo Dio è il mio Dio».
La scelta di Rut è radicale. La donna moabita decide di appartenere al popolo d’Israele e di adottare il suo Dio. Cambiare popolo d’appartenenza è abbastanza strano, in quanto nell’antichità nessuno lo faceva se non era costretto. Abbandonare il proprio popolo significava spezzare una serie di legami parentali e sociali, indispensabili per vivere. In altre parole Rut compie un passo che appare davvero straniante.
Inoltre la donna dichiara di volere essere sepolta con Noemi. Essere sepolti nella propria terra è un fatto di fondamentale importanza. Basti pensare alle trattative di Abramo per acquistare una grotta, al fine di dare sepoltura alla moglie Sara nella terra promessa (cfr Genesi 23), oppure all’ordine che Giacobbe morente in Egitto dà per farsi seppellire nella caverna del campo di Macpela, dove sono sepolti i suoi avi e sua moglie Lea (Genesi 49,29-32). La dichiarazione di Rut di voler essere sepolta in terra straniera sottolinea la scelta irrevocabile di appartenere al popolo d’Israele, separandosi definitivamente dal popolo dei moabiti.
Rut: un nuovo Abramo
Il narratore presenta questa donna facendo appello addirittura alla figura di Abramo, il padre dei credenti. Allorché Booz incontra Rut nei campi le dice: Mi è stato riferito quanto hai fatto per tua suocera dopo la morte di tuo marito, e come hai abbandonato tuo padre, tua madre e la tua patria per venire presso gente che prima non conoscevi (Rut 2,11). L’affermazione dell’uomo richiama un famoso passo: Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Genesi 12,1). Booz, parlando a Rut, allude perciò alla chiamata che Dio ha rivolto ad Abramo: il confronto del vocabolario lo mostra con chiarezza. Come Abramo anche Rut ha lasciato la sua patria, la casa di suo padre, le sue sicurezze per andare incontro a un futuro ignoto. Se però Abramo ha risposto a una chiamata divina, Rut non ha percepito nessuna voce: è stata la concreta situazione della suocera a spingerla in quella direzione. Invece di seguire il cammino del suo antenato Lot, Rut ha seguito le tracce di Abramo. Mentre Abramo e Lot avevano preso strade diverse (Genesi 13,9-13), Rut non si è separata da sua suocera (Rut 1,17). Come Abramo così Rut spera che il Signore operi in suo favore donandole un figlio (Genesi 15,1). Si potrebbe dire che Rut, una donna moabita, è un Abramo al femminile.
L’evocazione di un personaggio come Abramo crea nel lettore una certa attesa, modellata proprio sulle vicende raccontate a proposito del patriarca. Ma il rotolo di Rut sovente suscita un’attesa che poi frustra per mezzo di una sorpresa, dando nuovo respiro al racconto e aprendo orizzonti inediti. La novità non è solo narrativa ma pure teologica. Il lettore, abituato ai grandi racconti dell’Antico Testamento nei quali Dio interviene nella vita degli uomini e del popolo d’Israele, rimane abbastanza sorpreso nell’ascolto del rotolo di Rut. Se pensiamo ad Abramo dobbiamo ammettere che Dio interviene spesso: gli comanda di lasciare la sua terra (Genesi 12,1-4), gli parla in visione (Genesi 15,1-6), gli appare (Genesi 17,1-8), dialoga con il patriarca (Genesi 18,17-33), lo mette alla prova (Genesi 22,1-2). L’epopea dell’Esodo, poi, vede tutta una serie di azioni celesti: Dio si rivela a Mosè (Esodo 3,1-22), poi ordina a Mosè e Aronne che cosa debbono compiere di fronte al faraone (Esodo 7,8-9), li istruisce sul da farsi per lasciare l’Egitto (Esodo 12,1-20), colpisce ogni primogenito d’Egitto (Esodo 12,29), comanda a Mosè di stendere la mano sul mare perché si apra (Esodo 14,16) e perché si richiuda sull’esercito del faraone (Esodo 14,26) e così via. Nulla di tutto ciò nel libro di Rut: Dio non appare a nessuno, non parla direttamente ad alcuno, non si rivela in sogno. La sua presenza è nascosta, velata dietro l’intreccio delle azioni degli uomini e delle donne. Eppure, sembra suggerire il testo, nello snodarsi delle vicende e nelle azioni dei personaggi del racconto si realizza il disegno del Dio nascosto.
La vicenda personale di Rut, e di riflesso della suocera Noemi, si conclude felicemente col matrimonio con Booz e con una discendenza, ricordata negli ultimi versetti del rotolo (Rut 4,18-22), che giunge fino al re Davide. Se l’inizio del libro biblico era nel segno della morte del marito, del suocero e del cognato di Rut, la conclusione, invece, consiste in una genealogia, in un inno alla vita che continua. Una fecondità è resa possibile da un duplice passaggio: da un lato vi è la decisione di Rut di seguire in tutto la suocera Noemi, condividendone il destino e abbracciandone la fede; dall’altro v’è l’accoglienza riservata a questa donna moabita da Noemi e Booz, una scelta che va al di là delle chiusure a difesa della purezza del popolo israelita, presenti in quell’epoca. Non si può certo affermare che ci troviamo di fronte a un’esperienza di reciproco scambio tra culture diverse, ma la vicenda di Rut ci presenta una lezione, forse più modesta, ma non meno importante: la capacità di non restare prigionieri di pregiudizi e letture totalizzanti, simili agli elenchi stilati da Esdra, permette di riconoscere la preziosità dell’incontro con chi ha una storia diversa, apprezzando il valore e l’autenticità dell’itinerario che ha compiuto. Vivere un atteggiamento di questo tipo da parte di una singola persona o di una comunità è espressione di accoglienza bendisposta e aperta all’inatteso, rendendo possibile una fecondità, altrimenti preclusa dalla paura del diverso. La genealogia finale è allora una conferma indiretta della ricchezza di questo incontro.
Ma il libro di Rut illumina anche sul modo in cui tutto questo si compie: contro ogni tentazione di fatalismo (“Non cade foglia che Dio non voglia”!) o di rassegnazione (v’è un “destino” scritto da sempre!), il testo mostra che la volontà di Dio si intreccia con le scelte degli uomini e dei popoli, ma tutto ciò avviene attraverso una presenza discreta, nascosta, silenziosa. Saper cogliere i segni dei tempi e riconoscervi un invito di Dio permette di cogliere il legame inscindibile fra la potenza della grazia celeste e la libertà delle persone che, in vari modi, rispondono alla chiamata di Dio. Anzi, proprio riconoscendo questo indissolubile legame, è possibile reperire l’opera di Dio nella storia degli uomini.