Reti di indignazione e speranza

Movimenti sociali nell'era di Internet

Manuel Castells
Università Bocconi Editore, Milano 2012, pp. 270, € 25
Scheda di: 
Fascicolo: marzo 2013

Manuel Castells, sociologo spagnolo naturalizzato americano, è autore di alcuni voluminosi studi, tra cui la trilogia L’Età dell’informazione: Economia, Società, Cultura (2002-2003) e, più recentemente, Comunicazione e potere (2009), nei quali ha parlato dell’ultimo tratto del XX secolo in termini di “età dell’informazione”, intesa come tempo in cui ci si forma un’opinione in base a immagini e suoni elaborati dai media. Si è venuta così a creare una nuova struttura sociale, la “società in rete”, di cui Castells ha analizzato le forme di potere.

In Reti di indignazione e di speranza l’A. applica le sue teorie ai movimenti sociali nell’era di Internet, prendendo in esame alcuni tra i movimenti rivoluzionari e di protesta che hanno caratterizzato l’inizio del secondo decennio del XXI secolo nelle società arabe sulla sponda del Mediterraneo (Tunisia, Egitto) e in quelle nord-occidentali (Islanda, Spagna e Stati Uniti d’America). Castells, dopo essersi prevalentemente dedicato a studiare l’interazione fra i cambiamenti nelle relazioni di potere e quelli nelle modalità di comunicazione, ha individuato la manifestazione di un nuovo modello di trasformazione sociale alla base dei recenti movimenti presi in esame, scevri da ideologie obsolete e politiche manipolatrici. L’A. ha così mostrato di poter applicare a questi recenti movimenti sociali un corpus teorico sulla comunicazione nell’era di Internet, che nel nostro Paese non ha ricevuto sufficiente attenzione e discussione. La tematica – classicamente sociologica – posta al centro dello studio è quella delle nuove forme di cambiamento sociale, di cui i movimenti sociali sono forieri; ma se pure già esiste un’abbondante letteratura sui movimenti sociali della società in rete, è troppo presto per formulare un’interpretazione sistematica e scientifica di questi fenomeni. Di conseguenza, l’obiettivo dell’A. in questo saggio è più limitato: «suggerire qualche ipotesi, basata sull’osservazione, relativamente alla natura e alle prospettive dei movimenti sociali in rete, nella speranza di identificare i nuovi modelli di trasformazione sociale della nostra epoca, e di stimolare il dibattito sulle implicazioni pratiche (e, in fondo, politiche) di queste ipotesi» (p. XVIII).

L’analisi condotta da Castells si fonda sulla teoria del potere da lui già illustrata in Comunicazione e potere e sull’osservazione del ruolo determinante assunto dall’autocomunicazione di massa tramite Internet e dalle piattaforme digitali nella mobilitazione dei nuovi movimenti sociali. Se la forma fondamentale di potere consiste nell’abilità di plasmare la mente umana – sostiene Castells – la lotta fondamentale per il potere diventa allora la costruzione di significato nella mente delle persone. Facendo leva sugli studi più recenti condotti dalle neuroscienze, a cui ricorre con convinzione, l’A. mostra come tale costruzione avvenga mediante processi di comunicazione consistenti nella condivisione di significato tramite lo scambio di informazioni.

In questi ultimi anni, grazie ai mezzi autonomi di comunicazione orizzontale forniti da Internet, i cittadini dell’età dell’informazione sono in grado di inventare nuovi programmi legati alla loro sofferenza, alle loro paure, ai loro sogni, alle loro speranze e quindi veicolare nuovi valori e obiettivi. I movimenti sociali a loro volta creano contropotere, autocostruendosi mediante un processo di comunicazione autonoma, libera da quanti detengono il potere istituzionale. I social network digitali offrono la possibilità, senza restrizioni, di deliberare e coordinare l’azione.

Passando poi dal mondo digitale a quello reale, i movimenti sociali si mettono in relazione con la società nel suo complesso, rendendosi visibili nei luoghi della vita sociale, animando uno spazio pubblico non più limitato alla Rete, ma occupando aree urbane ed edifici simbolici e creandovi comunità libere, come nel caso di piazza Tahrir al Cairo, di Porta del Sol in Spagna, di Wall Street e Zuccotti Park a New York. In tal modo, i movimenti sociali danno vita a uno spazio pubblico “ibrido”, costituito dall’ambiente digitale dei social network di Internet e dal luogo pubblico occupato. Grazie alla velocità e libertà di diffusione delle informazioni in Rete, essi finiscono per costituire, in senso tecnologico e culturale, «comunità istantanee di pratica trasformativa» (p. XXIV).

Date queste premesse, la chiave interpretativa di tutto il saggio è il primo capitolo, «Mettersi in rete, creare significato, contestare il potere», in cui si analizza il processo con cui i social network presenti in Rete diffondono nuovi valori e interessi (significato) in contrasto a quelli istituzionalizzati o a quelli dei poteri dominanti a cui si oppongono, e come riescono, di conseguenza, a dare origine e voce alla mobilitazione degli individui, che si esprime poi attraverso l’occupazione fisica di luoghi pubblici.

Le caratteristiche dei processi di comunicazione di massa usati dagli individui determinano a loro volta quelle organizzative del movimento sociale: «più la comunicazione è interattiva e configurabile, minore è il livello gerarchico e maggiore la partecipazione» (p. XXVIII). Per questo i movimenti sociali in rete nell’era digitale rappresentano un nuovo tipo di movimento sociale, senza leader e a carattere assembleare, dando luogo a modalità di democrazia deliberativa.

Il comportamento dei singoli individui all’origine della mobilitazione suscitata dalle reti digitali di comunicazione orizzontale viene studiato impiegando i risultati delle ricerche condotte in ambito neuroscientifico e quelli delle scienze cognitive, utilizzati anche nei precedenti lavori teorici. È un approccio poco presente nella nostra pubblicistica, abituata piuttosto a studi di impostazione macrosociologica e/o economicistica delle trasformazioni sociali. Pertanto, può destare qualche perplessità leggere che «a livello individuale, i movimenti sociali sono movimenti emotivi. […] Ma il big bang di un movimento sociale riguarda la trasformazione dell’emozione in azione. Secondo la teoria dell’intelligenza affettiva, le emozioni più rilevanti per la mobilitazione sociale e per la condotta politica sono la paura (affezione negativa) e l’entusiasmo (affezione positiva)» (pp. XXVIXXVII). Secondo questo approccio, una volta che l’individuo abbia superato l’ansia e la paura che paralizzano l’azione con un’altra affezione negativa, quale la rabbia, e arrivi a manifestare la propria indignazione, le emozioni positive prendono il sopravvento e si generano l’entusiasmo e la speranza di ottenere una ricompensa per l’azione rischiosa. Perché un movimento sociale prenda forma, poi, la spinta emotiva dei singoli deve legarsi a quella di altri individui tramite un processo di comunicazione caratterizzato da due requisiti: consonanza cognitiva tra mittenti e destinatari e un efficace canale di comunicazione. In base a questo paradigma interpretativo, Castells può affermare che l’origine dei movimenti sociali va ricercata nelle emozioni dei singoli e nella loro attività in rete sulla base dell’empatia cognitiva.

Questa teoria è integrata dall’analisi di alcuni movimenti selezionati come esempi: i preludi in Tunisia («La rivoluzione per la libertà e la dignità», p. 2) e in Islanda («La rivoluzione delle pentole. Dal crollo finanziario al crowdsourcing della nuova Costituzione», p. 11). Seguono quindi ampie analisi di tre rivolte: quelle arabe, in particolare quella in Egitto, evidenziando gli aspetti della dignità, della violenza e della geopolitica (come nel caso della Libia); quella degli Indignados in Spagna, una rivoluzione definita “rizomatica” per la sua estensione e riproduzione orizzontale, le cui radici «si spargono ovunque, senza un piano centralizzato, ma muovendosi e interconnettendosi» (p. 117); e, infine, il movimento statunitense “Occupy Wall Street” contro le sedi del potere finanziario e la complicità fra potere economico e politico. Quest’ultimo, anche se meno rilevante per numero di partecipanti a New York, è riuscito a promuovere la mobilitazione in numerose città degli Stati Uniti e di altri Paesi europei su obiettivi comuni. Pur provando a far luce sui nuovi movimenti sociali, rimane tuttavia, nel saggio di Castells, un’ambiguità – non solo terminologica – nel caratterizzare alcuni movimenti come “rivoluzioni”. Il testo, semplice ma documentato, alla luce di determinate premesse teoriche – non esclusive, ma da prendere in considerazione secondo il loro ambito di spiegazione – può dare un contributo alla comprensione più ampia di questi nuovi movimenti sociali e suscitare discussioni anche di carattere epistemologico. Si tratta di verificare se i fattori chiave individuati da Castells nelle due rivoluzioni iniziali, quella della piccola Islanda e quella della Tunisia, «sono anche presenti come fattori critici in movimenti sorti in altri contesti sociali […]. E se essi fossero modificati nella loro pratica a causa di differenze nel contesto, potremmo formulare alcune ipotesi sull’interazione tra cultura, istituzioni e movimenti, la questione fondamentale per una teoria del cambiamento sociale» (pp. 25-26).

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