Nguyen Phan Que Mai ci porta
nella sua terra, il Viet Nam, e
ci conduce a ripercorrerne le vicende
storiche nel secolo scorso, attraverso
un sapiente intreccio
di voci, narrando la storia della
famiglia Tran, una vicenda
pervasa da coraggio, tenacia,
dolore e tenerezza. Le voci
soavi delle persone si sovrappongono
al frastuono delle
bombe, mentre non si spegne
il palpito dell’attesa del ritorno
dei familiari, né si affievoliscono
sogni e speranze per un avvenire
differente. Ci troviamo a raccogliere
con rispetto le parole di coloro
che hanno camminato nei campi di
battaglia e sono tornati con il corpo
o con il cuore feriti dalla guerra.
Scopriamo che quando i conflitti
finiscono, rimangono impresse
nella gente profonde cicatrici.
Nonostante il romanzo sia stato
scritto in inglese per desiderio
dell’A. di superare le barriere linguistiche,
Nguyen Phan Que Mai
inserisce parole, proverbi e frasi
nella propria lingua madre. Ci raggiunge
così il suono di una lingua
che non abbiamo mai ascoltato e
che non sappiamo nemmeno pronunciare:
ci accorgiamo con umiltà
e stupore di essere stranieri accolti
in questa terra. L’A. ha la capacità
di rovesciare la nostra prospettiva
abituale: ci porta a incontrare il Viet Nam dall’interno, non come
spettatori distanti, ma come ospiti
prossimi alla gente. Attraverso i
loro occhi vediamo campi di riso,
tenere piantine e frutti di cui non
conosciamo l’odore e il sapore.
Le voci principali sono quelle
delle donne della famiglia Tran: la
giovane Huong, che ci guida nel
presente della narrazione, e nonna
Dieu Lan, che ci riporta nel passato
percorrendo la storia del Viet Nam
della prima metà del ‘900.
All’inizio del romanzo, Huong
è solo una ragazzina. Vive con la
nonna nella città di Hahoi. I genitori
e gli zii sono lontani, partiti per la
guerra. Quando i bombardamenti
degli americani, nel 1972, colpiscono
la città, nonna Dieu Lan e
Huong si rifugiano nel villaggio di
Hoa Binh. Al rientro trovano la loro casa distrutta, ma nonna Dieu Lan
è dotata di grande forza d’animo:
compie scelte coraggiose per assicurare
alla nipote una casa in cui
abitare e ai figli lontani una casa in
cui poter fare ritorno.
Nonna Dieu Lan pian piano apre
il cuore del suo passato alla nipote
narrando la storia del lungo viaggio
che dovette intraprendere dal
villaggio di Vinh Phuc, luogo d’origine
della famiglia Tran, fino alla
grande città di Hanoi per salvare
la vita dei suoi bambini. Si rivela
progressivamente la figura di una
madre coraggiosa e tenace che ci
interpella profondamente in questo
tempo in cui le madri si trovano
spesso smarrite, sole e insicure.
Il tema dell’ingiustizia sociale
e dello scontro armato percorre
tutto il libro. Le guerre lacerano
l’umanità: «Hanno il potere di
trasformare in mostri popoli colti
e civili» (p. 95). Nonna Dieu Lan
propone alla nipote la lettura di
libri provenienti da ogni nazione e
cultura proprio per permetterle di
incontrare e conoscere altri popoli.
Nel libro vi sono diversi passaggi
interessanti a riguardo. Quando
nonna Dieu Lan offre alla nipote
la traduzione vietnamita di La
casa nella prateria di Laura
Ingalls Wilder, Huong domanda
infastidita: «Perché
dovrei leggere un
libro che viene da un
Paese che ci ha bombardato?
». La risposta
della nonna ci rivela
che l’altro è sempre
più di quanto noi ci
aspettiamo: «Mia cara,
non tutti gli americani
sono cattivi. Tanti di loro
hanno manifestato contro la guerra» (p. 71). In un secondo momento,
il racconto dello zio Dat fa
riflettere la giovane Huong: «Ciò
che disse mio zio mi fece pensare.
Anche io avevo odiato l’America.
Eppure, leggendo i loro libri, mi
ero imbattuta in un altro aspetto
di quel popolo: la loro umanità.
Mi ero convinta che, se le persone
avessero cominciato a leggere
e a scoprire le culture degli altri
popoli, non ci sarebbero più state
guerre» (p. 185).
Nguyen Phan Que Mai ci presenta
un romanzo piacevole e
interessante costruendo un valido
intreccio narrativo in un contesto
storico e geografico che ha bisogno
di essere guardato con rispetto
e meraviglia. La narrazione è
sempre pervasa da un sottofondo
di speranza che non si spegne mai,
neppur nelle prove più dure. Pare
dire all’umanità che sempre può
rialzarsi e ricominciare a vivere… e
lasciare che le montagne cantino
ancora.