In occasione del Colloquio internazionale svoltosi presso la sede dell’UNESCO a Parigi dal 20 al 22 maggio 2019, i promotori dell’iniziativa (tra cui Aggiornamenti Sociali), guidati dal CERAS, hanno presentato un Manifesto dal titolo Quale lavoro per una transizione ecologica e solidale? Ne abbiamo realizzato e tradotto un estratto, che qui proponiamo. Il testo completo, così come l’elenco dei promotori, è disponibile sul sito del Colloquio, <https://workecologyparis2019.com>.
Lungo gli ultimi due anni, un gruppo internazionale di una trentina di attori sociali (ONG, associazioni, centri di ricerca e azione sociale, sindacati, movimenti religiosi) ha lavorato insieme in un processo di ricerca-azione. I membri di questo gruppo, sognando collettivamente il futuro del lavoro come parte integrante della transizione ecologica, sono arrivati a diverse osservazioni e raccomandazioni comuni.
Questo gruppo trae ispirazione dalla dottrina sociale della Chiesa cattolica, che pone le relazioni al centro della sua visione antropologica; da innumerevoli rapporti pubblicati dall’OIL tra il 1919 e il 2019; dall’esperienza sul campo dei partecipanti.
In questo contesto, sembra che la questione del lavoro nella transizione socioecologica richieda un cambio di paradigma: come promuovere un sistema in cui il lavoro sia dignitoso, giusto ed ecologicamente sostenibile per tutti gli uomini e le donne? Il fatto che il lavoro sia in pericolo e che i lavoratori di tutto il mondo soffrano le conseguenze della crisi socioambientale diventa un appello urgente a ripensare il lavoro, la sua organizzazione e la sua governance, ma anche a prendere coscienza della sua materialità e del legame tangibile tra essere umano e natura.
Insieme rivolgiamo a tutte le parti in causa un appello a difendere e promuovere la disponibilità di lavoro dignitoso per tutti, ora e per le generazioni future. Questa domanda di lavoro dignitoso e sostenibile richiede il rispetto della dignità umana, della giustizia sociale e ambientale, della promozione del bene comune, della qualità del lavoro e della solidarietà sociale ed ecologica. Ecco perché questo manifesto è un appello a:
1. Difendere la dignità umana. La dignità umana è inalienabile e, poiché tutti la condividiamo, è il fondamento della vita sociale. La sua radice è il carattere sacro della persona, che ne è il principio fondatore. La promozione della dignità umana sul lavoro va al di là della questione della retribuzione economica, ma anche al di là del rispetto o della semplice promozione del “lavoro dignitoso”. Implica la difesa dei diritti universali dei lavoratori, la promozione di un lavoro “che dà dignità”, cioè di un lavoro che onori e rispetti la dignità umana sostanziale e inalienabile, e che, in un certo senso, accresca quella che si potrebbe chiamare “dignità relativa” (che dipende dalle condizioni di vita).
2. Difendere la giustizia sociale e ambientale.
È uno dei principi più minacciati nel mondo del lavoro. Giustizia sociale significa: stabilire condizioni di lavoro dignitose; salari dignitosi per tutti; limitare i divari salariali tra dipendenti e dirigenti; attuare e applicare un diritto del lavoro giusto ed equo; riconoscere e sostenere i sindacati; prendersi cura dei rapporti consumatore-produttore, in particolare attraverso la tracciabilità sociale; promuovere l’uguaglianza di genere (parità di trattamento, di condizioni di lavoro, di retribuzione e di opportunità), permettendo a ogni persona di fiorire.
A partire dal secolo scorso, la “giustizia sociale” si è concentrata sulla distribuzione della ricchezza. Da questo punto di vista, il primo diritto fondamentale da rispettare è quello a godere dei frutti del proprio lavoro. Inoltre, i rifiuti, il cambiamento climatico e l’inquinamento ci costringono a tenere conto dell’ambiente quando parliamo delle persone più fragili ed escluse, che sono più esposte agli effetti del degrado ambientale. Prendere in considerazione le disuguaglianze ambientali significa dare a tutti l’accesso a un ambiente sano e il diritto di emigrare dalle aree insalubri e inquinate.
La giustizia sociale deve essere estesa a tutti i tipi di lavoro, anche nell’economia informale. Tutti i tipi di “lavoro invisibile” (informale, domestico, volontario, ecc.) devono essere riconosciuti nei sistemi giuridici. A tal fine potrebbero essere create nuove istituzioni, utilizzando processi ibridi e collaborativi.
3. Prendersi cura del bene comune. Il bene comune è più dell’interesse generale: è “il bene di tutti noi”. Nella nostra condizione peculiare di interdipendenza globale, la questione si pone con particolare urgenza. Il nuovo paradigma che sosteniamo e che punta a fare in modo che il lavoro rispetti i limiti sociali e ambientali, solleva nuove domande sul bene comune, sulla privatizzazione della terra e delle risorse naturali e sui meccanismi finanziari. Una cosa è certa: il valore economico non esaurisce il bene comune. Il bene comune, inteso come bene di ogni lavoratore e bene di tutti, deve essere l’obiettivo del lavoro.
4. Promuovere un lavoro di qualità. Prestare attenzione alla qualità del lavoro svolto significa permettere a tutti di essere orgogliosi del proprio lavoro, anche se difficile. La dignità dei lavoratori aumenta quando il loro lavoro ha senso. La sicurezza sanitaria e ambientale sono particolarmente necessarie per un lavoro di qualità. Inoltre, un “lavoro ben fatto” non è solo sinonimo di risultato di qualità, ma dipende anche da risorse e condizioni di lavoro accettabili.
5. Difendere la solidarietà sociale e ambientale. Solidarietà significa che siamo responsabili gli uni per la vita e il benessere degli altri. Tutti dovrebbero avere accesso alle risorse e nessuno dovrebbe essere esposto più di altri all’inquinamento o al degrado dell’ambiente. Ma la solidarietà vale anche nei confronti degli esseri non umani, di cui dobbiamo prenderci cura, se non altro perché la loro esistenza ci permette di svilupparci. Questa solidarietà estesa a tutti gli esseri viventi ci impone di essere consapevoli del nostro destino comune.