Il riscatto di Palermo inizia dalla cura degli emarginati: i tanti senzatetto, immigrati ed ex carcerati, che da più di 25 anni sono accolti nelle tre grandi strutture di accoglienza della Missione di Speranza e Carità grazie all’opera instancabile di fratel Biagio Conte. Francesco Inguanti si propone di far scoprire o conoscere meglio questa realtà attraverso quattro interviste a fratel Biagio, descritto come “una persona alla ricerca”, animata da un forte impegno sociale, profondamente radicato in una fede che si nutre di azione e preghiera. La sua storia nasce dal forte travaglio interiore di un adolescente, da una domanda inevasa di felicità e pienezza, dal desiderio di “riscaldare il cuore” e di non essere più un “passivo spettatore” in una città violenta e investita dal male e dall’ingiustizia, negli anni ’80.
Come Bauman anche fratel Biagio è convinto che la qualità umana di una società, in tutto il mondo, dovrebbe essere misurata a partire dalla qualità della vita dei più deboli tra i suoi membri. Ecco perché dopo l’eremitaggio passa all’azione: dai digiuni ai pellegrinaggi, alle proteste clamorose, fino all’aiuto concreto ai barboni della Stazione Centrale attorno ai quali, dal nulla, riesce a mobilitare risorse di ogni tipo, con il costante appoggio della Chiesa, di tanti privati e volontari, e un rapporto non di rado conflittuale con la burocrazia.
La Missione è «frutto di qualcosa di prezioso che accade dall’alto», che «non si vede ad occhio nudo, ma si sente, si percepisce, si vive» (p. 38), capace di scuotere una società «assente, distratta, indifferente» (p. 42), di ritrovare il senso di tante vite, promuovendo un modello di convivenza che predilige il recupero della dignità, il lavoro, contro ogni forma di assistenzialismo.
L’ammirazione verso Giorgio La Pira, per il suo rapporto tra “preghiera e azione politica”, e verso san Pio da Pietralcina, con la sua fede nella “forza costruttrice” della preghiera, lo sostiene. L’incontro con i due Papi viventi e il premio al Parlamento europeo lo portano a rafforzare la sua adesione a una Chiesa povera e, al tempo stesso, a soffrire per la mancanza di spiritualità di un’Europa per lo più attenta alle questioni economiche. L’Arcivescovo di Palermo lo definisce «un uomo che apre le porte e un cristiano che ha fatto sul serio» (p. 96), e certamente di porte potrà aprirne ancora molte, accrescendo ancora il significativo valore sociale della sua Missione.