Qualcosa di meraviglioso

di Pierre-François Martin-Laval
BIM Distribuzione, Francia 2019, Biografico, commedia, 107 minuti
Scheda di: 
Fascicolo: giugno-luglio 2020

Nonostante la pandemia di COVID-19, che in un primo momento aveva monopolizzato l’agenda dell’informazione, vi sono alcuni temi la cui urgenza non può passare in secondo piano e che sono rimasti solo apparentemente nell’ombra. È il caso dei flussi migratori verso l’Europa e delle relative politiche di accoglienza, recentemente protagonisti del dibattito politico italiano a seguito della proposta di regolarizzazione dei braccianti agricoli. Certamente la pandemia ha cambiato le condizioni di tutti coloro che, per ragioni economiche o politiche, sono stati costretti ad abbandonare i loro Paesi, andando incontro a viaggi per mare ad alto rischio, separazioni familiari laceranti e situazioni di profondo disagio sociale. Non solo: essa ha prodotto anche una situazione inedita nel settore cinematografico, costringendo le sale a un lungo periodo di chiusura e rendendo disponibile una grande quantità di audiovisivi datati e recenti sulle piattaforme di streaming on line. Tra questi vi è anche il film Qualcosa di meraviglioso, uscito nelle nostre sale a dicembre e ora disponibile in VOD sulle piattaforme Chili, Rakuten Tv e Infinity: una produzione per famiglie, capace di far riflettere gli spettatori sulle dinamiche dei movimenti migratori e sulle risposte fornite dai Paesi accoglienti. Il film del regista francese Pierre-François Martin-Laval è infatti l’adattamento di un libro autobiografico scritto nel 2014 a sei mani da Fahim Mohammad, giovanissimo campione di scacchi originario del Bangladesh, Sophie Le Callennes, l’antropologa che ha insegnato la lingua francese al padre del ragazzo, e Xavier Parmentier, l’allenatore di scacchi che ha permesso all’astro nascente di emergere in Francia.

In questi anni il cinema d’oltralpe ha raccontato storie di integrazione – riuscita o mancata – soprattutto attraverso il registro del realismo sociale, rappresentando senza sconti la violenza fisica e psicologica spesso sottesa a questi processi. Pensiamo, ad esempio, a Dheepan - Una nuova vita di Jacques Audiard, Palma d’oro al Festival di Cannes nel 2015, o al recente I Miserabili (Les Misérables) di Ladj Ly, entrambi focalizzati sul microcosmo della banlieue come specchio di una nazione incapace, di fatto, di superare un modello politico fondato sulla marginalizzazione urbana dello straniero. A differenza di questi registi, Martin-Laval ha scelto la chiave e i toni rassicuranti del film per famiglie, puntando addirittura a un modello narrativo quasi hollywoodiano: quello del filone sportivo, fatto di storie che parlano di limiti da superare, lezioni di gioco e di vita da fare proprie, allenatori burberi pronti a rivelarsi preziosi mentori e l’inevitabile gara finale da vincere per tagliare un importante traguardo esistenziale, oltre che agonistico.

I fatti raccontati attraverso questo schema classico corrispondono tuttavia alla realtà: nel maggio del 2011 Nura Mohammad ha lasciato il Bangladesh con il figlio, per sfuggire alle ritorsioni che le sue posizioni politiche antigovernative avrebbero potuto innescare. Fahim Mohammad, di soli 8 anni ma già dotato di uno straordinario talento per gli scacchi, è stato così convinto a partire attraverso un’“innocente” bugia: in Francia avrebbe potuto incontrare un grande maestro di questa disciplina. In effetti, grazie all’incontro del tutto casuale con l’anziano campione Sylvain Charpentier, Fahim diventerà il campione di Francia di scacchi under 18, suscitando scalpore nel Paese. Incalzato sulla precarietà amministrativa della sua condizione di richiedente asilo, il Primo ministro dell’epoca, François Fillon, finirà con l’accelerare la regolarizzazione del ragazzo e quella della sua famiglia.

Nel doppio ruolo di regista e co-autore della sceneggiatura, Martin-Laval ha deciso di delegare alla presentazione degli ambienti il sottotesto storico e politico della vicenda di Fahim. La prima parte di Qualcosa di meraviglioso non cala infatti lo spettatore immediatamente in medias res, ma si prende tutto il tempo necessario per presentare l’antefatto, ovvero la difficile situazione in cui il protagonista, interpretato dall’esordiente Assad Ahmed, vive nel suo Paese d’origine. Bastano poche immagini per passare dal generale al particolare: il film si apre infatti con alcune riprese di repertorio di manifestazioni di cittadini inermi violentemente caricati dalla polizia. Senza abusare di didascalie o altri elementi esplicativi, il regista prova a fondere realtà e fiction nella scena successiva, nella quale cogliamo Nura immerso nei disordini e vittima a sua volta della violenza degli agenti. Pur non avendo ancora abbastanza elementi per riconoscere in questo volto nella folla il padre di Fahim, siamo già in grado di intuire che sarà proprio questo personaggio a far evolvere la storia. Non a caso la stessa scena verrà rievocata più avanti, quando Fahim scoprirà la verità sul suo viaggio in Francia e non potrà che perdonare l’amorevole bugia paterna.

Dopo questo incipit drammatico, il film devia verso la lieve ironia che ne caratterizzerà anche il seguito, mostrando il protagonista intento a vincere una partita di scacchi contro un improbabile avversario più anziano di lui. Per Fahim, che prontamente incassa dallo sfidante il denaro in palio, gli scacchi sono una fonte di guadagno attraverso cui sostenere la fragile economia della sua famiglia, come raccontano gli umili interni della casa in cui vive. Nonostante i contorni drammatici della sua condizione di povertà e i diversi accenni successivi allo strazio della separazione dalla madre, è proprio l’irrompere di questi repentini cambi di registro a salvare Qualcosa di meraviglioso da quell’incedere emozionale e ricattatorio al quale molti film finiscono per indulgere. A questo distacco emotivo contribuisce anche l’interpretazione di Gérard Depardieu, che dona alla figura del maestro di scacchi Sylvain una ruvidezza al contempo comica e profondamente umana. Così, anche nella presentazione della miseria in cui padre e figlio si troveranno immersi in Francia, il Paese “dei diritti dell’uomo”, l’intento non sarà mai quello di stimolare nello spettatore un’adesione pietistica alla sfortuna dei personaggi. Al contrario, il montaggio di queste scene intende anzitutto attivare una risposta razionale in chi guarda, facendo riflettere sull’assurdità di uno Stato che nega i più basilari diritti umani ai nuovi arrivati – che nel film si ritroveranno letteralmente senza un tetto – e nel frattempo congela questi ultimi in una lunga e articolata trafila burocratica, ricca di insidie e imprevisti. Ad esempio, in Qualcosa di meraviglioso ci viene presentata come una pratica tristemente diffusa quella dei traduttori truffaldini, che ingannano gli stranieri appena arrivati per favorire altri richiedenti asilo (in questo caso il traduttore intende avvantaggiare i connazionali indiani).

In contrasto con la rigidità delle istituzioni, si staglia la banlieue di Créteil con il suo club di scacchi. Qui il multiculturalismo non è un fenomeno da regolamentare a distanza, bensì un’esperienza quotidiana che non è possibile scegliere di ignorare. Quando Nura perderà il suo posto nel centro di accoglienza, suo figlio passerà le notti a casa dei suoi compagni della scuola di scacchi, che a turno cercheranno di ospitarlo. Persino i genitori più scettici e diffidenti non potranno esimersi dall’aprire la porta di casa a quel piccolo straniero, perché ormai, nonostante i suoi documenti dichiarino un’altra verità, Fahim è parte integrante della loro comunità. Ma la Francia, come ci dice con voluta naïveté questo film, è costituita da anime inconciliabili, e la realtà che il protagonista trova a Créteil differisce dalle sensibilità del resto del Paese. Le gare di scacchi tra Comuni diversi nel film diventano l’espediente attraverso cui raccontare spaccati geografici e culturali difformi, a cui corrispondono altrettante opinioni sulla questione migratoria. Il calcio è ad esempio un terreno su cui nel film si scontrano diversi tipi di retorica. Fahim da un lato vede nel calciatore Zinédine Zidane l’emblema di una nazionale invincibile, che ha fatto del multiculturalismo la sua forza, mentre al suo maestro verrà rimproverato, con una punta di disprezzo, proprio di aver composto un gruppo «di stranieri, come il Paris St. Germain».

Sono questi aspetti, incastonati tra le spiegazioni di tattiche scacchistiche d’attacco e difesa, a fare di Qualcosa di meraviglioso un affresco veritiero della Francia contemporanea. Un Paese che in più occasioni, negli ultimi anni, si è trovato a delegare allo sport un’integrazione estranea ad altri ambiti della società, con i Mondiali di calcio a costituire l’unico momento unificante tra parti che nella vita quotidiana si considerano antagoniste. La stessa vicenda di Fahim, d’altra parte, pur consegnandoci con il suo lieto fine un forte messaggio di speranza, lascia lo spettatore con un dubbio. Perché il diritto di cittadinanza nel suo caso è stato acquisito con una sorta di do ut des, dove la merce di scambio è il talento agli scacchi, con il conseguente ritorno di immagine per la Francia. Che ne è invece di quel delicato percorso di scolarizzazione e integrazione che Fahim ha intrapreso? E chi riconoscerà il percorso di inserimento di tanti altri bambini sans papier, magari privi di doti speciali da regalare al Paese? La partita, in questo caso, è tutt’altro che vinta.

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