Putin e il mondo che verrà

Storia e politica della Russia nel nuovo contesto internazionale

Fabio Bettanin
Viella, Roma 2018, pp. 337, € 29
Scheda di: 
Fascicolo: dicembre 2018

«Quando il presente non dà indicazioni sul futuro, ci si rivolge al passato» (p. 267). Può essere questo il fil rouge del volume, il cui titolo apre al domani, attingendo ampiamente alla storia. L’A., docente di Storia della Russia all’Università di Napoli “L’Orientale”, offre un’approfondita ricostruzione delle vicende secolari di un Paese in cui i fattori di continuità con il passato comunista e zarista non hanno impedito l’irrompere del nuovo. Tutta la narrazione ruota attorno allo «zar che guida con pugno di ferro il Paese» (p. 320), al Presidente ininterrottamente in carica dal 2000 (il suo ultimo mandato scadrà nel 2024) e al “sistema Putin”, o “Fattore P”: «senza Putin non c’è Russia; […] oggi è evidente che l’idea nazionale russa è incarnata da Vladimir Vladimirovič Putin» (p. 30). Il focus è la collocazione del colosso euroasiatico nella politica internazionale: dal periodo seguente alla Guerra fredda alle relazioni con l’Occidente e con l’Asia, anzi con «varie Asie, diverse fra loro per cultura, interessi geopolitici, livello sociale ed economico» (p. 12).

Premesso che la Russia è indispensabile agli equilibri internazionali, è bene non dimenticare che «un Paese le cui leggi consentono la rielezione del presidente per quattro mandati di fila, in cui dilaga la corruzione, le cui prospettive economiche dipendono dalla rendita petrolifera, che non ha esitato a usare le armi contro i propri cittadini, come è accaduto in Cecenia, è un dubbio aspirante al ruolo di garante della stabilità internazionale» (p. 27). Non è un caso che la tattica utilizzata dalla diplomazia russa sia quella di «spostare il confronto internazionale dai temi della democrazia e dei diritti umani a quelli dell’ordine, della sicurezza, del rispetto del diritto internazionale» (p. 21).

Dal 2006 l’espressione “grande potenza” viene abbandonata dal dibattito pubblico per non spaventare i vicini; la democrazia sovrana russa prevede «la formazione di un’élite patriottica, depositaria e garante della sovranità e dell’unità del Paese, responsabile di fronte all’opinione pubblica, ma non soggetta alla sua volontà» (p. 84). Una sorta di «democrazia amministrata», in cui la popolazione ha «un ruolo sostanzialmente apolitico» (ivi). Questo è uno dei passaggi più interessanti del volume, anche perché svela qualcosa di abbastanza inquietante sulla qualità delle relazioni sociali e istituzionali della Russia, dove «l’assenza di veri partiti e di centri autonomi di potere economico, il ruolo sbiadito di esperti e opinione pubblica privano il Paese di attori capaci di proposte e di iniziative autonome e tempestive nel campo della politica estera» (p. 44).

Putin si propone come guida morale del Paese, attraverso valori come «Dio, famiglia, proprietà, rinascita della Russia» (p. 37), evitando un ritorno all’ideologia sovietica, ma dando voce alle ragioni dell’orgoglio russo. Nel 2014 il Presidente esprimeva «una profezia dai toni insolitamente escatologici: il destino della Russia era di opporsi a “un mondo unipolare, standardizzato, senza Stati sovrani”, contrario alla “diversità del mondo creata da Dio”, nel quale “molti Paesi della comunità euro-atlantica stavano di fatto rigettando le loro radici, compresi i valori cristiani che costituiscono la base della civiltà occidentale”, e questo li rendeva più fragili. La parabola politica e intellettuale di Putin era approdata alla tesi centrale del conservatorismo russo, per il quale la Russia rappresentava la “vera Europa”, schierata a difesa della tradizione abbandonata dal resto del continente» (p. 102).

Come è stato possibile sostenere nel tempo l’unicità della Russia?

Putin, da membro del comitato scientifico della Società russa di storia, ha effettuato diverse incursioni in campo storiografico. Nel 2007, ai ventisette manuali di storia in uso nelle scuole superiori venne sostituito un manuale unico; in esso, ad esempio, «I crimini di Stalin non vengono taciuti, quanto relativizzati ed evocati in termini generali» (p. 92). Eppure la sovranità era difficile da difendere anche in campo storiografico; perciò «la scelta fu di adottare un paradigma progressista, temperato dall’esposizione delle battute di arresto di cui era disseminata la storia russa» (p. 107). Nel 2015 furono pubblicati due nuovi manuali di storia, più equilibrati nel giudizio rispetto ai precedenti, ma abili nell’offrire una lettura in bianco e nero della storia post-sovietica: la presidenza Eltsin era stata il male, la presidenza Putin il bene. In questo contesto, capace di formare miti storiografici dotati di forza di mobilitazione e coesione, si è affrontato il centenario della rivoluzione del 1917, un’occasione per ribadire che «sebbene l’Ottobre fosse stato un momento della modernizzazione europea, il prezzo pagato per l’esperimento bolscevico era stato insopportabile» (p. 113).

Grandi investimenti sono stati fatti per promuovere con un network di televisioni satellitari e di siti l’immagine della Russia al di fuori dei suoi confini, specie nei Paesi ex sovietici, a cui si sono aggiunte le Olimpiadi invernali di Sochi (2014). La Russia prigioniera della sua unicità e del suo passato ha tentato così di combinare «elementi ortodossi, antioccidentali, antigreci e imperiali» (p. 116) in una dottrina che non ha precedenti nelle vicende globali, interpretando «il multilateralismo come un concetto geopolitico a geometria variabile» (p. 321).

In assenza di modelli, la Russia investe molto nella “svolta a Oriente” e pone la Cina da subito come punto di riferimento principale della propria politica nel continente asiatico, secondo una strategia di convenienza territoriale (4.200 km di frontiera condivisi), economica (vendita di armamenti russi ai cinesi) e commerciale (tra i due Paesi l’interscambio è passato da 8 bilioni di dollari negli anni ’90 a 100 bilioni nel 2014). La relazione è stata però sempre asimmetrica: «dal 2009 la Cina era il maggior mercato per le merci russe, mentre la Russia era il nono partner commerciale della Cina, dietro persino ad Australia e Corea del Sud» (p. 233). Nel 2005, nel suo messaggio all’Assemblea federale, «Putin aveva definito la Russia “grande potenza europea” con una “missione di civiltà nel continente euroasiatico”» (p. 247). Nel 2012 viene istituito un Ministero per lo Sviluppo dell’Estremo Oriente, che si arenò presto a causa della mancata definizione delle priorità strategiche dello sviluppo. Negli anni si è assistito a un «progressivo appannamento della dimensione multilaterale nella “svolta verso l’Asia”» (p. 251), principalmente perché l’integrazione della Russia nelle maggiori organizzazioni internazionali asiatiche si rivelò più complicata del previsto.

Pragmatismo e realpolitik alimentano la visione di Putin del multilateralismo, con una funzione difensiva, volta a contenere un’eccessiva ingerenza dell’Unione Europea e della Cina nei rispettivi continenti e a creare blocchi regionali (specie in Asia) uniti nella lotta al terrorismo e nell’opposizione ai tentativi di esportazione della democrazia da parte degli Stati Uniti.

Oggi sappiamo per certo che senza la Russia non è possibile risolvere alcuna crisi internazionale (Afghanistan, Iraq, Libia e Siria lo testimoniano). «La Russia di oggi è secondo tutti i parametri più debole dell’URSS, ma occupa ancora 1/8 della superficie emersa nel mondo, e questo le consente di essere protagonista in vari quadranti della politica mondiale […]. La lingua russa è parlata da quasi 300 milioni di persone, e questo è un fattore non trascurabile di presenza internazionale […], il complesso industriale militare e quello energetico assicurano una proiezione mondiale di primo piano: il primo controlla circa il 20% dell’export mondiale di armi, ed è il più importante fornitore di grandi potenze come Cina e India; dal secondo dipendono le forniture di energia all’Europa. Infine la Russia ha ereditato dall’Unione Sovietica il seggio al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, è stata ammessa al Consiglio d’Europa e si è aggiunta al G7, dal quale è stata espulsa dopo le vicende in Ucraina» (pp. 314-315).

E dal 2016, dopo l’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti d’America, che cosa è cambiato? «L’immagine prevalente degli USA nella Russia di oggi è quella di un Altro infido, ripiegato sui problemi interni, alieno da grandi strategie ma pronto ad applicare doppi standard pur di difendere il proprio ruolo di garante dell’ordine mondiale liberale. Con un interlocutore del genere si può trattare solo su questioni settoriali e locali» (p. 320).

Il volume, corredato da numerose e ampie note a dimostrazione che l’A. padroneggia la bibliografia in materia, non si stanca di riconoscere che il divario tra risorse e ambizioni «è una costante della storia russa, compensata in passato dalla capacità della Russia di proporsi come garante della stabilità in Europa ai tempi di Nicola I, e di maieuta di un nuovo ordine mondiale dopo la Rivoluzione d’Ottobre e negli anni della perestrojka. In tutti e tre i casi le ambizioni non si sono tradotte in pratica, ma hanno dato un’impronta agli avvenimenti dell’epoca» (p. 326).

Quanto potrà ancora durare Putin, demotico e realista, in assenza della modernizzazione promessa nel 2008? Le risorse della Russia sono inadeguate alla pretesa di essere considerata alla pari con Stati Uniti, UE e Cina. «La mancata modernizzazione dell’economia non consente di trovare un equilibrio fra difesa della sovranità e apertura alla globalizzazione e ai benefici effetti della cooperazione scientifica e tecnologica di investimenti qualificati» (ivi). Fino ad oggi il coinvolgimento nei processi di formazione della politica estera della comunità imprenditoriale, delle organizzazioni non governative, di università ed enti scientifici, delle Regioni è stato insufficiente. Al momento non si scorgono alternative al “sistema Putin”: che cosa ne sarà della Russia, sempre più fragile, in declino demografico e alle prese con disuguaglianze crescenti?

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