Politica Netflix. Chi detta l’agenda nell’era dei social

Will con Lorenzo Pregliasco e Giovanni Diamanti
IS Media, Milano 2021, pp. 174, € 15
Scheda di: 
Fascicolo: ottobre 2022

Molti osservatori ripetono stancamente il ritornello sul disinteresse dei giovani (e non solo) verso un mondo della politica percepito come sempre più lontano e insignificante, sul loro ritrarsi dal dibattito pubblico e sul loro rinchiudersi nel “privato”, mediato da un uso massiccio delle nuove tecnologie e dei social media. E se invece il problema non fosse l’interesse alla cosa pubblica in sé, quanto invece il luogo (e il modo d’essere) privilegiato in cui esso può trovare espressione? Prova a percorrere questa via il primo libro scritto a più mani dai (giovani) collaboratori di Will Media, una community di informazione online nata a inizio 2020 come pagina Instagram da 1.300.000 follower, presto divenuta un canale “alternativo” per restare aggiornati su attualità, economia e politica. I vari contributi, attingendo dai diversi background accademici e professionali degli AA., disegnano un quadro preciso e coerente, ben scandito tra una prima parte più teorica dedicata all’analisi del contesto e una seconda in cui si applica il modello risultante alla rilettura di alcuni casi concreti.

La tesi di fondo dell’opera è che staremmo assistendo alla nascita di un nuovo modo di fare politica, chiamato suggestivamente “politica Netflix”. Il richiamo alla nota piattaforma di streaming non è casuale: indica una politica che sempre meno fa riferimento a un programma unitario, a un patrimonio ideale ben definito e identificabile, per lasciare sempre più spazio a temi isolati, a singole issues on demand, capaci di aggregare consenso. Tale consenso rimane sostanzialmente fluido, “liquido” e a geometria variabile, più suscettibile a dinamiche di fluttuazione di mercato (politico o anche economico), proprio come i titoli dei film che compaiono nella vetrina di Netflix, suggeriti da appositi algoritmi in grado di intercettare le nostre personali preferenze e combinarle ai trend del momento. Sul campo di questa nuova politica on demand emergono nuovi attori. A fronte della crisi di credibilità dei politici e delle forme associative e partitiche tradizionali, ma anche dei canali di comunicazione e di informazione politica mainstream – televisioni, radio e giornali –, prevale sempre di più il modello di (almeno apparente) disintermediazione dei social media, in cui i cittadini/individui si rapportano direttamente con l’influencer di turno. Gli AA. acutamente notano come artisti e personaggi dello spettacolo si siano sempre interessati all’agone politico. La diversità ora starebbe nel rivolgersi direttamente alla propria fanbase, intervenendo su singoli temi sensibili, che insieme “fiutano” dal contesto e su cui nel contempo contribuiscono ad attirare l’attenzione e il dibattito pubblico. Temi che, secondo la logica dei social, saranno tanto più efficaci e trainanti quanto più semplificati, polarizzanti e concentrati su questioni di diritti individuali e identitarie più che sociali e “di classe”. Uno spazio significativo viene dato all’analisi della vicenda del ddl Zan, dall’inizio quasi in sordina del suo iter di approvazione parlamentare, all’intervento in suo favore di noti artisti e influencer, tale da suscitare un ampio dibattito pubblico e un vasto movimento d’opinione, fino al suo successivo affossamento, non solo a causa della resistenza opposta dalle dinamiche politiche più “tradizionali”, ma anche per l’eccessiva polarizzazione creatasi, che ha tolto ogni residuo spazio di dialogo e di confronto.

All’attività degli influencer si affianca, nell’ambito della politica Netflix, il ruolo del cosiddetto brand activism, ovvero dell’attivismo sociale e politico di alcune grandi imprese, mosso dal desiderio di fidelizzare anche in questo modo almeno parte della propria clientela, altrimenti soggetta alle fluttuazioni del mercato.

L’analisi portata avanti in queste pagine è sicuramente acuta, accattivante, e fornisce spunti interessanti per una lettura di questo fenomeno in larga parte nuovo e inesplorato. Resta al lettore cercare una risposta alle domande ulteriori, alle sfide che la “politica Netflix” pone e che il libro lascia aperte: può questo nuovo modo di fare politica rappresentare una via effettivamente percorribile per il futuro della cosa pubblica, o sarà inevitabilmente destinato a “passare di moda”, subendo le accelerate dinamiche di obsolescenza dei mezzi tecnologici di cui si serve? Al di là del patrimonio di mobilitazione e interesse suscitato, riuscirà la “politica Netflix” ad andare oltre la frammentarietà, la liquidità, la tendenza alla polarizzazione esasperata che la caratterizza, per potersi un giorno tradurre in proposte più complessive e in forme associative e istituzionali, che possano costruire un’alternativa credibile alla crisi e all’impasse dei meccanismi e delle strutture della politica più tradizionale?

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