Perché le vicende di due nazioni – la Siria e la Danimarca – sono così diverse in questo inizio di XXI secolo? Per quali ragioni il Paese mediorientale è sprofondato da alcuni anni in una sanguinosa e tremenda guerra civile, mentre nel piccolo Paese dell’Europa settentrionale la vita dei cittadini è sicura e ricca di opportunità?
Con questi interrogativi, al contempo sorprendenti e provocatori, il politologo inglese David Runciman inizia il suo libro. Per l’A., la risposta non va ricercata prendendo in considerazione la dotazione di risorse umane, naturali e culturali dei due Paesi, perché «la differenza non risiede nel fatto che i danesi sono un popolo migliore dei siriani. […] Né i danesi sono stati benedetti da maggiori vantaggi naturali» (p. 12). A giudizio di Runciman, l’elemento che ha avuto un ruolo chiave è essenzialmente uno: «la differenza fra Danimarca e Siria è politica» (ivi). Si tratta di un’affermazione netta, ma che l’A. subito precisa. La politica non è l’unica e ultima causa del benessere o della violenza che possono esserci in un Paese, men che meno è la responsabile degli eventuali disastri naturali che colpiscono un territorio. Ma essa «può amplificarne o moderarne gli effetti. È questa la differenza che può fare la politica» (p. 13).
La constatazione di fondo da cui prende le mosse l’A. serve a ricordarci l’importanza rivestita dalla politica, che non è certo venuta meno oggigiorno, per poter imprimere un cambiamento nelle vicende di un territorio, di un Paese o del mondo. Tuttavia non basta ricordare in via di principio l’importanza della politica, bisogna poi fare i conti con la disillusione e la disaffezione nutrite da tante persone verso di essa.
Proprio in questo senso, il testo di Runciman è quanto mai attuale e utile, perché è un intelligente invito rivolto al lettore per riflettere sulla politica come strumento fondamentale per definire e regolare i legami che assicurano la convivenza pacifica tra gruppi di persone all’interno di una comunità.
Con una scrittura accattivante e ricca di riferimenti ai grandi maestri della scienza politica (da Machiavelli a Rawls), il libro ci accompagna in un itinerario di tre tappe. La prima ha per tema che cos’è la politica, nel bene e nel male, vista soprattutto come strumento che ha permesso di contenere e controllare la violenza all’interno delle società. Passa, poi, a chiedersi se ci sia ancora spazio per la politica nell’epoca di Internet e dei giganti del mondo digitale. Infine, si sofferma sulle insufficienti risposte che essa ha dato alle grandi questioni di ingiustizia e sperequazione. La conclusione è che «la politica è ancora importante» (p. 170), ma solo se si misura con le sfide attuali e non è ridotta al mero piano della tecnica.