Per un’utopia ecclesiale

Paul Ricoeur
a cura di Claudio Paravati, Alberto Romele, Paolo Furia
Claudiana, Torino 2018, pp. 100, € 12,50
Scheda di: 
Fascicolo: ottobre 2018

Alla vigilia del maggio 1968, Paul Ricoeur fu invitato a tenere una conferenza in tre parti presso una parrocchia protestante di Amiens. Il suo intervento si intitolava: “Senso e funzione di una comunità ecclesiale”. Le riflessioni che Ricoeur tenne in quell’occasione sono oggi disponibili in un’edizione italiana curata da Claudio Paravati, Alberto Romele e Paolo Furia. Il titolo del volume è presto chiarito dall’A. stesso: «Chiamo utopia questa prospettiva di un’umanità compiuta, allo stesso tempo come totalità degli esseri umani e come destino singolare di ogni persona» (p. 10). I testi contenuti in questo libro sono un contributo prezioso e illuminante per immaginare il ruolo delle comunità credenti nel mondo contemporaneo. A distanza di quarant’anni Ricoeur è in grado di ispirare pratiche di trasformazione e di cooperazione nel vissuto ordinario delle comunità cristiane. La sua opinione sul ruolo storico e sociale di queste ultime viene espressa con disarmante chiarezza: «Nel linguaggio di Paolo: laddove il peccato abbonda, la grazia sovrabbonda. Essere cristiani significa decifrare i segni di questa sovrabbondanza, nell’ambito stesso in cui l’umanità realizza il proprio disegno» (p. 11).

L’avanzata del senso sul non senso, la preminenza della gratuità sulle misure proporzionate del profitto, la sporgenza di ciò che esagera ed eccede rispetto alla limitatezza asfittica degli interessi privati: appellandosi a queste tensioni polari Ricoeur tratteggia il volto di una Chiesa inappagata. I cristiani infatti sono «depositari di un’eccedenza di speranza sulla pianificazione». Con termini affini e pressoché negli stessi anni, Aldo Moro, descrivendo ciò che anima i passi del cristiano nella vita pubblica, parlò di un «principio di non appagamento e di mutamento dell’esistente». Sovrabbondanza della grazia e trasformazione della realtà umana: sono questi i poli di un vissuto ecclesiale che rinuncia a pretese di mera appropriazione stanziale e identitaria. Parafrasando Ricoeur potremmo parlare di un’“incandescenza ecclesiale”: capacità di vivere fedelmente e fattivamente nella tensione che unisce il Vangelo ai suoi destinatari. Tutto questo si concretizza nell’arte di «articolare l’ecclesiale e il sociale» (p. 36). È necessario che le comunità cristiane riescano a trovare il giusto equilibrio tra vita interiore ed esposizione, tra “poesia della vita interna” e “prosa del rapporto al mondo”. Non occorre pertanto moltiplicare i livelli della comunicazione ecclesiale, non bisogna narrare all’esterno una vita internamente sconosciuta. Tuttavia è necessario ripartire dai linguaggi ecclesiali sapendo che non sono meri strumenti di comunicazione, ma riflessi di una tensione vitale, quella che avvicina la Parola alla vita.




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