ArticoloUnione Europea
Patto di stabilità e crescita: la riforma da riformare
Dopo tre anni di quasi inazione e qualche mese di frenetiche trattative,
nel dicembre 2023 i ministri economici europei hanno raggiunto
un accordo per la riforma del Patto di stabilità e crescita,
stipulato nel 1997 e sospeso nel 2020 durante la pandemia. Si potrebbe
pensare, guardando al balletto di percentuali, clausole di salvaguardia, classificazioni,
che si tratti di un tema tecnico. Nulla di più errato. La posta in
gioco è la definizione del quadro in cui i Paesi europei dovranno operare
nei prossimi anni per far fronte alle sfide che li attendono. Per valutare la
riforma entrata in vigore nel 2024 è necessario richiamare il dibattito sulla
governance europea, chiedendosi non solo se le istituzioni esistenti sono
state all’altezza nel gestire le crisi che hanno colpito le economie europee,
ma soprattutto se sono state in grado di porre le condizioni per attuare le
necessarie transizioni ecologica e digitale.
La governance economica nell’Unione Europea
Le istituzioni per la governance macroeconomica dell’UE sono state definite
negli anni ’90 del secolo scorso. Nel 1992, il Trattato di Maastricht fissa le regole per la moneta unica, dai criteri per adottare l’euro allo statuto
della Banca centrale europea (BCE). Nel 1997 il Trattato di Amsterdam
completa il quadro con il Patto di stabilità e crescita, che detta ai Governi
nazionali le norme per la politica di bilancio. Questi due documenti, insieme
all’Atto unico europeo del 1986, che definisce le priorità per le
politiche della concorrenza, delineano un sistema che riserva alla mano
pubblica un ruolo nel complesso marginale. La politica di bilancio è
limitata alle misure di gestione degli effetti del ciclo economico sul saldo di
bilancio (ad esempio le misure contro la disoccupazione nei periodi di rallentamento
dell’attività). Anche la politica monetaria ha un ruolo limitato,
poiché la BCE ha come mandato esclusivo la salvaguardia del valore della
moneta, cioè la stabilità dei prezzi. Infine, la politica della concorrenza è volta
a combattere ogni forma di posizione dominante, per eliminare tutte le
rigidità che impediscono ai mercati di convergere verso l’equilibrio presunto
ottimale. L’interpretazione data dalla Commissione europea alla politica
della concorrenza e la definizione piuttosto rigida di aiuto di Stato (le risorse
pubbliche assegnate a imprese o produzioni che potrebbero falsare la concorrenza)
hanno di fatto impedito agli Stati membri, e ancor di più all’UE,
non dotata di una propria capacità di bilancio, di mettere in atto politiche
industriali coerenti e una programmazione economica di lungo periodo. [continua]
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