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Patriottismo inclusivo: non è un’utopia

Fascicolo: febbraio 2025

Dieci anni fa, il 3 febbraio 2015, Sergio Mattarella giurava come dodicesimo Presidente della Repubblica nell’aula gremita di Montecitorio, iniziando il suo primo mandato. Figura defilata della politica, non era molto noto presso i cittadini, che hanno però imparato a conoscerlo e rispettarlo, come confermano gli indici che periodicamente rilevano la fiducia e il gradimento riposti nelle istituzioni.

Il modo in cui è stato presente nei momenti importanti della vita italiana, da quelli più gioiosi come i successi nelle competizioni sportive, ai drammi causati dalla natura o dalla violenza umana, ha incarnato quanto indicato dall’art. 87 Cost. come primo compito del Capo dello Stato: rappresentare l’unità del Paese. L’importanza di questo aspetto era ben chiara al neoeletto Presidente, che nelle prime battute del discorso di giuramento del 2015 riconosceva di avvertire «pienamente la responsabilità del compito che mi è stato affidato. La responsabilità di rappresentare l’unità nazionale innanzitutto». Dopo aver sottolineato la dimensione territoriale di questa unità («dal Nord al Mezzogiorno») e quella meno intuitiva ma altrettanto fondamentale dei comuni valori e orizzonti («l’insieme delle attese e delle aspirazioni dei nostri concittadini»), aggiungeva una constatazione realistica: «Questa unità rischia di essere difficile, fragile, lontana». In questo modo, riconosceva l’esistenza dell’unità del Paese, senza nascondere però la debolezza del patto sociale su cui si fonda e lo scollamento presente all’interno della nostra società.

 

Una società sempre più frammentata

A dieci anni di distanza, queste parole rimangono attuali e segnalano una priorità che non può essere sottovalutata per il nostro Paese, ma
lo scenario con cui il presidente Mattarella si misura è diverso da quello della sua prima elezione. Le polarizzazioni sono sempre più marcate all’interno della vita politica, così come la delegittimazione dell’avversario, la radicalizzazione nelle posizioni estremistiche, il ricorso a parole identitarie e slogan divisivi nella comunicazione. Questi fenomeni sono particolarmente evidenti nelle formazioni politiche di estrema destra, ma non sono appannaggio solo loro. Nello stesso tempo, numerosi cittadini tendono a rifugiarsi nel privato per ragioni disparate: perché non si riconoscono in queste dinamiche politiche, non le capiscono, le percepiscono come distanti o ne hanno timore oppure perché sono preoccupati per un quotidiano difficile da gestire. Questi tratti si rinvengono non solo in Italia ma anche in altri Paesi, pur con alcune differenze legate ai contesti culturali e sociali, mostrando che non si tratta di fenomeni temporanei e frutto del caso, ma di forme di malessere diffuse e trasversali. Non sono certo di aiuto le iniziative politiche come quella sull’autonomia differenziata (cfr Cerniglia F., «Autonomia differenziata: un salto nel vuoto», in Aggiornamenti Sociali, 6-7 [2024] 390-397), che mettono a repentaglio la solidarietà tra i vari territori del nostro Paese, sancita nella Costituzione, e il cui iter di approvazione testimonia quante resistenze vi siano ad ascoltare voci diverse.

 

Per un’idea di unità che non sia fuori del tempo

Di fronte a una società sempre più frammentata e smarrita, che si muove in ordine sparso e fatica a trovare un orizzonte comune, il Presidente è intervenuto in più occasioni e in modi diversi per «riannodare il patto costituzionale tra gli italiani e le loro istituzioni libere e democratiche» (Mattarella S., Discorso al Parlamento nel giorno del giuramento per il secondo mandato, 3 febbraio 2022). Nello svolgimento di questo suo compito istituzionale di rappresentante dell’unità, incaricato anche di custodirla e di interpretarne le esigenze, ha fatto attenzione alle novità nel frattempo emerse per evitare che i suoi gesti e le sue parole siano sconnessi dalla realtà in cui siamo immersi, risultando per questo vuoti e fuori tempo, senza però adottare acriticamente le idee e posizioni presenti nel dibattito pubblico.

Ritroviamo un esempio di questo modo di operare nel messaggio di fine anno del 31 dicembre 2024, in cui la presa d’atto dei tanti fattori che lacerano la nostra società è il preludio per soffermarsi sul «sentimento vivo, sempre attuale, dell’idea di Patria». Mattarella riprende una parola oggi molto presente nel discorso pubblico, dopo esserne stata per lungo tempo bandita o ai margini perché strettamente associata alla retorica fascista, offrendone una lettura diversa e ben più ampia di quella solitamente proposta.

Come ci attendiamo quando sentiamo la parola patria, il Presidente ha fatto riferimento agli allievi della Marina militare incontrati di recente o ai militari impegnati in missioni all’estero, ma non si è fermato lì. Ha proseguito elencando esempi e categorie che nel discorso comune non sono immediatamente associati al lessico del patriottismo: i «medici dei pronto soccorso, che svolgono il loro servizio in condizioni difficili e talvolta rischiose», gli insegnanti che lavorano con passione, gli imprenditori attenti alla responsabilità sociale e alla sicurezza, tutti i lavoratori che si impegnano, «chi studia e si prepara alle responsabilità che avrà presto», i volontari, «gli anziani che assicurano sostegno alle loro famiglie». Con uno sguardo attento alla nostra realtà e ai fenomeni migratori che negli ultimi anni l’hanno riguardata, Mattarella afferma che è anche «patriottismo quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e con la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità».

 

ll valore del servizio

Con il suo discorso il presidente Mattarella propone una comprensione della patria, che riconosce e valorizza l’apporto di quanti si mettono al servizio dell’intera collettività nel loro quotidiano impegno, condividendo competenze ed esperienze. Emerge dunque una diversa lettura del concetto di patria. A un’interpretazione escludente, basata sull’appartenenza a un gruppo nazionale, a una cultura, a una visione del mondo, se ne contrappone una inclusiva, modulata su criteri differenti. In questa visione ciò che preme è l’adesione a un orizzonte di valori – ossia la Carta costituzionale e il processo che l’ha resa possibile a partire dalla Liberazione – e il suo tradursi quotidiano in azioni coerenti, apprezzate perché espressive di quella adesione e non per il loro impatto: il loro valore non deriva infatti dal fatto che fanno notizia. Se nella visione tradizionale essere patriottici evoca l’immagine di essere eroi, implica il compiere gesti straordinari, Mattarella ci suggerisce una diversa accezione, in cui il patriottismo è alla portata di tutti, e quindi interpella tutti. Si sottrae anche a una visione produttivistica ed efficientistica della società, per cui sono presi in considerazione solo quanti sono attivi a livello professionale, dando spazio anche a chi si sta preparando o chi ha terminato il proprio percorso lavorativo e si impegna in altre dimensioni di cura nell’ambito familiare o pubblico.

Alla base vi è un’ulteriore convinzione, espressa già in diverse occasioni: il futuro dell’Italia, la possibilità di superare le difficoltà e gli ostacoli che pesano sulla quotidianità dei suoi abitanti, passa per la capacità di mobilitare tutte le energie creative e costruttive presenti tanto nelle istituzioni quanto nella società civile. Il futuro dipende da un impegno collettivo e unitario, dal riuscire a lavorare insieme e fare squadra, più che dall’affidarsi alle risorse di pochi.

Infine, un altro aspetto emerge. Se la visione della patria è collegata con l’espressione di una forma di potenza, l’esito diretto è che tra le diverse patrie del mondo non potrà esservi che competizione per giungere primi (le parole di Donald Trump sono chiare in questo senso quando, appena dopo essere entrato in carica, ha affermato «America first») o, negli scenari peggiori, conflitto per ritagliarsi uno spazio di maggior rilievo nel gioco politico ed economico internazionale. Nel discorso di Mattarella questa dimensione è totalmente assente: le figure di patriottismo proposte si distinguono per il servizio che svolgono, lontane da una prospettiva di autoaffermazione. L’unico scenario competitivo evocato è quello delle Olimpiadi, dove però il riferimento è a tutti gli atleti e non solo ai vincitori di una medaglia.

 

Per una nuova definizione di patriottismo

Quanto è realistica la visione offerta dal presidente Mattarella? E quale risonanza può avere nella nostra società? Queste domande sono inevitabili e necessarie per evitare di considerare utopico o ingenuo il ragionamento che ci è stato proposto. Vi è, in fondo, una provocazione in positivo che ci viene rivolta: cambiare il modo in cui percepiamo e valutiamo il senso del patriottismo – ma questo vale anche per altri concetti che favoriscono la divisione in fazioni invece che la costruzione di percorsi verso l’unità –
fa sì che questa parola non sia più la bandiera di una parte, ma un orizzonte in cui tutti possono riconoscersi e sentirsi incoraggiati a offrire il proprio contributo a un bene percepito come comune, cioè veramente di tutti e di tutte.

Si può essere sorpresi e affascinati da questa ridefinizione del patriottismo, oppure essere critici e rifiutarla. Non è la diversità di reazioni, anche di segno opposto, a rappresentare un problema se si apre un dialogo al riguardo, che è già testimonianza forte di un convergere verso un’unità che si cerca di costruire insieme. Ciò che spaventa, invece, è il restare indifferenti, smettere di chiederci quali valori e orizzonti ci tengono insieme e chi si fa carico di tesserli nella quotidianità. Il presidente Mattarella per il suo ruolo e con i suoi interventi è uno di questi tessitori, capace di sollevare le domande opportune sulle questioni scomode. Non è l’unico, ce ne sono tanti altri in tutto il Paese, alla ribalta della cronaca o sconosciuti ai più, nelle amministrazioni locali, nelle aule scolastiche, nei luoghi di lavoro, nei pianerottoli dei condomini. È questa la risorsa più grande su cui possiamo fare affidamento per l’oggi e il domani.

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