«Nessuno dei nostri Paesi ha raggiunto la parità di genere de facto»: questa lucida e alquanto mesta ammissione è contenuta nel
documento finale del vertice G7 dedicato alle pari opportunità, che si è svolto il 15 e 16 novembre 2017 a Taormina.
Alla riunione tra la commissaria europea competente e i ministri per la parità di genere di Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti erano presenti solo donne, tranne il rappresentante del Giappone, unico uomo al tavolo. Devo ammettere che questa impostazione dei lavori mi ha lasciata perplessa su come possa portare alla lunga benefici alla causa della parità, e non invece alimentare lo squilibrio tra i generi. Mi sembra infatti che le pari opportunità tra uomini e donne, per il pieno rispetto dei diritti umani, potranno essere raggiunte solo assieme, cioè solamente quando uomini e donne siederanno allo stesso tavolo in un mutuo riconoscimento della propria originale diversità.
A parte ciò, nello stesso documento finale prendiamo atto dell’impegno dei Paesi del G7 a «dare luogo a quei cambiamenti nella mentalità, nelle politiche e nella cultura, che sono necessari per colmare il divario di genere esistenti, eliminare tutte le forme di violenza e discriminazione nei confronti delle donne e delle bambine». Il tutto con una finalità, anzi più di una: «L’empowerment delle donne e l’avanzamento dei processi di pace, sicurezza e sviluppo sostenibile». Se la parità di fatto non è stata ancora raggiunta è forse perché non è stata inserita in una prospettiva integrale?
Integrare la lotta alla violenza sulle donne con l’empowerment, la pace, la sicurezza e lo sviluppo sostenibile è una bella declinazione di quell’ecologia integrale che punta a mettere in risalto legami e connessioni. Che sia giunto il tempo, anche per noi donne, di fare della parità di genere una battaglia al servizio della cura della casa comune?