“Paris Novembre 13” e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo

Rosario Sapienza
Con la legge n. 2015-1501 del 20 novembre 2015, è stato prorogato in Francia lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale in seguito ai tristi e noti fatti del 13 novembre. Nel darne notizia, il governo ha anche comunicato al Segretario generale del Consiglio d’Europa di volersi avvalere della possibilità, riconosciuta agli Stati parti dall’articolo 15 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quindi, di sospendere l’applicazione della Convenzione nel caso di guerra o di altro pericolo pubblico “che minacci la vita della nazione … nella stretta misura in cui la situazione lo esiga e a condizione che tali misure non siano in contraddizione con le altre obbligazioni derivanti dal diritto internazionale”.

L’articolo 15 stabilisce però che alcuni articoli della Convenzione restano inderogabili anche durante il periodo di sospensione dell’applicabilità degli standards europei: l’articolo 2(diritto alla vita), l’articolo 3 (divieto di tortura e di trattamenti disumani e degradanti), articolo 4.1 (divieto di riduzione in schiavitù) e articolo 7 (il principio nulla poena sine lege secondo il quale “nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale”).Secondo l’ultimo comma dell’articolo 15, poi “Ogni Alta Parte Contraente che eserciti tale diritto di deroga tiene informato nel modo più completo il Segretario Generale del Consiglio d’Europa sulle misure prese e sui motivi che le hanno determinate. Deve ugualmente informare il Segretario Generale del Consiglio d'Europa della data in cui queste misure cessano d’essere in vigore e in cui le disposizioni della Convenzione riacquistano piena applicazione”.

Certamente la situazione non è facile e, nel suo sovrano potere di apprezzamento, il governo francese ha adottato la decisione che è parsa più opportuna e che , peraltro, come abbiamo visto, la Convenzione permette di adottare. Peraltro la Corte mantiene, come ha ricordato spesso nella sua giurisprudenza, il potere di verificare che effettivamente le misure restrittive dei diritti si siano mantenute “nella stretta misura” richiesta dalla situazione.

Sono certo che così sarà. Ma, sia detto con tutto il rispetto dovuto, non posso esimermi dal notare che quanto accaduto va inquadrato anche nel difficile momento che le strategie francesi di gestione della propria società multiculturale stanno vivendo. Strategie da sempre basate sulla difesa a tutti i costi della identità francese e della privatizzazione dei momenti dell’appartenenza religiosa che non sembrano fatte per agevolare il dialogo tra le culture.

Strategie che la Corte ha sempre avallato, suscitando di frequente non poche critiche. Pensiamo anche soltanto alla discutibile e discussa giurisprudenza che ha sostanzialmente approvato la legislazione francese sul divieto del velo islamico nei luoghi pubblici, come nella decisione del luglio 2014 sul caso S.A.S. c. Francia o la più recente Ebrahimianc. Francia del 26 novembre 2015.

Forse è vero, come qualcuno dice, che una strategia di tutela dei diritti umani basata solo su un meccanismo di ricorsi individuali non può sostituirsi a penetranti controlli internazionali che riguardino l’operato dello Stato nel suo complesso. Ma gli Stati, anche quelli europei, sono ben lungi dal voler accettare simili controlli.



09 dicembre 2015
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