Oppenheimer

regia di Christopher Nolan
Stati Uniti, 2023, biografico, drammatico, storico, 180 minuti
Scheda di: 
Fascicolo: ottobre 2023

«Prometeo rubò il fuoco agli dèi e lo diede all’uomo. Per questo fu incatenato a una pietra e torturato per l’eternità».
È questa frase, solenne e minacciosa, ad aprire Oppenheimer, l’ultimo capolavoro di Christopher Nolan, tre anni dopo l’uscita di Tenet nell’agosto del 2020. Il film segue la vita del fisico J. Robert Oppenheimer (Cillian Murphy) come narrata nel libro di Kai Bird e Martin Sherwin, American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer, vincitore del premio Pulitzer 2006, sviluppandola attraverso due filoni narrativi, separati nel tempo e nello spazio, che troveranno poi, nel finale, un perfetto punto di raccordo.
Il tempo, infatti, non si presenta nel film come lineare: la storia della brillante carriera di Robert e della sua direzione delle ricerche per la creazione dell’ordigno atomico, il cosiddetto “progetto Manhattan”, si alterna a quella di due audizioni: la prima, dove il passato del fisico viene posto sotto una minuziosa – e umiliante – analisi con il pretesto del rinnovo del suo permesso per continuare le ricerche nucleari, e la seconda, nell’aula del Senato, dove la candidatura di Lewis Strauss, un vecchio collega di Robert, è esaminata in vista della sua nomina o meno in un’alta posizione federale dello Stato. Un ritmo incalzante, in un perenne crescendo, lega insieme questo fine intreccio di passato e futuro. Come raggi di una ruota, scene appartenenti all’uno e all’altro si succedono, fino a raggiungere la propria destinazione comune: una conversazione tra Robert e Albert Einstein, che rimarrà avvolta in un velo di mistero fino all’agghiacciante finale del film.

Al centro della narrazione resta sempre Oppenheimer, dapprima un giovane fisico rapito dalle infinite possibilità dello studio dell’atomo, con gli occhi rivolti alle stelle, poi il celebre direttore della città-laboratorio di Los Alamos e dello sviluppo dell’ordigno atomico, convinto che la bomba nucleare sarà l’arma che porrà fine non solo al nazismo, primo obiettivo del padre del nucleare, ma a ogni conflitto umano, garantendo al pianeta una pace mai vissuta prima. Una convinzione che verrà fortemente scossa nel momento del primo esperimento nucleare, nel deserto del New Texas: il cosiddetto “Trinity Test”. Il motto di Robert, che fino a quel momento, parlando della bomba, era stato: «Non la temeranno finché non la comprenderanno. E non la comprenderanno finché non l’avranno usata», muta in quel momento in una citazione tratta dal sacro testo hindu Bhagavad Gita: «Sono divenuto morte, il distruttore di mondi».
La presa di coscienza maturata da Oppenheimer di fronte al fungo atomico lo tormenterà per il resto della sua vita: quell’ordigno che credeva potesse mettere un punto definitivo alla guerra, non è in realtà altro che lo strumento perfetto per soddisfare la tendenza autodistruttiva dell’essere umano. Hiroshima e Nagasaki, tragedie che nel lungometraggio di Nolan non vengono mai mostrate direttamente, affidate bensì ai dialoghi e alle visioni apocalittiche di Robert, non sono che l’inizio della fine. Il primo stadio della reazione a catena che, prima o poi, segnerà la fine dell’umanità. Un meccanismo di distruzione di cui il fisico non ha piena responsabilità: è stato lui a creare l’arma, ma non è lui ad averne il controllo. «Hiroshima non ha a che fare con te», afferma per l’appunto il presidente Truman: le redini del nucleare sono in mano alla politica.
Eppure, la creazione dell’atomica è un peso che Oppenheimer porterà con sé per sempre, per cui si sottometterà volontariamente all’umiliante processo con cui la madrepatria lo ripagherà per il suo lavoro. La storia non ci offre delle spiegazioni definitive: si tratta per lui di un’espiazione? Di un castigo?

Nella virtuosa sceneggiatura di Nolan, dove la tensione fa tremare gli stessi set cinematografici, catastrofiche vicende d’amore si intrecciano con allarmanti scoperte di laboratorio, struggenti verità e profondi simbolismi, accompagnati – e amplificati – dalla colonna sonora di Ludwig Gönnarson.
Questa fa del violino il suo strumento chiave. Sulle sue corde sottili, Gönnarson oscilla tra toni di stupore, meraviglia, inquietudine e terrore. Il loro timbro, così vibrante e distinto, premia i suoi ascoltatori con una sorta di spioncino attraverso cui introdursi nella complessa mente di J. Robert Oppenheimer, e assistere alla degenerazione delle piacevoli tonalità dello strumento in un orrendo stridio: la curiosa passione del fisco storpiata dalla scoperta della bomba. La sua corona, e la sua spada di Damocle.

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