Omar

Hany Abu-Assad
Belgio 2014,drammatico, 97 min.
Scheda di: 
Fascicolo: giugno-luglio 2018

Omar (Adam Bakri) è un giovane fornaio che vive e lavora in Cisgiordania, sul lato palestinese della “barriera di sicurezza” che separa Israele e Palestina. Ogni giorno, scala la barriera per andare a trovare i suoi amici di infanzia, Tarek (Eyad Hourani) e Amjad (Samer Bisharat), e a scambiare qualche sguardo furtivo con la ragazza che ama, Nadia (Leem Lubany), sorella di Tarek. Omar vorrebbe sposare Nadia, ma non osa confessarlo a Tarek, che è il leader del movimento di resistenza contro l’occupazione israeliana della Palestina. Tra i tre, è Tarek il più intimidatorio, il più violento, il più spietato; è lui che, durante un’imboscata notturna presso il centro di controllo di Huwwara, spinge Amjad – più indeciso e influenzabile – a uccidere un soldato israeliano.

«Non puoi diventare un soldato della resistenza semplicemente guardando», dice, incitandolo a sparare. A seguito dell’agguato, però, è Omar ad essere catturato dalle forze israeliane, portato in prigione e torturato. Seppur atterrito e disorientato, Omar resiste, incondizionatamente fedele ai suoi amici e alla sua causa, devoto a Nadia, il cui pensiero lo sostiene nella solitudine. Viene così liberato per un mese, con l’obbligo di consegnare alla polizia Tarek, presunto cecchino e amico di una vita.

Da questo momento, il focus del film si sposta; la storia di un terribile conflitto tra due fazioni irrimediabilmente divise tra loro diventa un racconto intimo e personale, una riflessione priva di giudizi sulla fiducia, sulla lealtà, sull’amicizia, sull’estrema difficoltà di rimanere fedeli a se stessi e ai propri ideali in un tempo di crisi e di guerra.  

Omar è stato girato tra Israele e la Cisgiordania, in condizioni quasi impossibili, tempestate di sabotaggi e divieti, con un cast quasi interamente composto di attori emergenti. È un racconto intenso e vivido, che si snoda con un ritmo incalzante, ben sostenuto dal realismo dei dialoghi, dallo scarso utilizzo di musica (compensato dall’enfasi posta sui suoni e sui rumori) e dall’ottima caratterizzazione di tutti i personaggi; un racconto forte e spietato, che però riesce a sorprendere con i suoi piccoli, quasi impercettibili momenti di calma e normalità.

Il finale del film – aperto, brusco e spietato – è forse l’unico possibile e coerente per la storia, il culmine inevitabile di una situazione che, tanto a livello individuale quanto collettivo, spesso è sostanzialmente priva di alternative.

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