Non sposate le mie figlie!

di Philippe de Chauveron
Francia 2014, commedia, 97 minuti
Scheda di: 
Fascicolo: gennaio 2018

La trama

I Verneuil sono una famiglia borghese e cattolica della provincia francese, che professa la tolleranza e l’integrazione. Tre delle quattro figlie si sposano rispettivamente con un cinese, un musulmano e un ebreo, che vengono accolti in famiglia senza apparenti scossoni.
Le speranze ancora vive di un matrimonio tradizionale sono tutte riposte nella giovane Laure, che in Charles sembra finamente aver trovato il genero ideale...


In fondo, siamo tutti un po’ razzisti. E quindi siamo tutti uguali. E allora non c’è bisogno di essere razzisti. Si può riassumere così, con questo paradosso, la commedia di Philippe de Chauveron Non sposate le mie figlie!, che con leggerezza sorride delle tensioni razziste serpeggianti nella benpensante, apparentemente illuminata e tollerante borghesia francese.

Claude e Marie Verneuil sono una tranquilla coppia della provincia francese, hanno educato le loro quattro figlie ai valori dell’integrazione e della tolleranza, e le prime tre hanno fatto tesoro degli insegnamenti familiari, sposando ciascuna rispettivamente un musulmano, un ebreo e un cinese ateo. Con questi quadretti nuziali si apre la pellicola, lasciando intuire però che i due genitori di ampie vedute vorrebbero avere almeno un bel matrimonio tradizionale cattolico in famiglia e che tutte le loro speranze sono riposte nell’ultima fanciulla rimasta, Laure. Con garbo, il film mette in scena le difficoltà di convivenza non solo dei genitori con i tre generi, ma anche le tensioni tra cognati che si innescano ogni volta che si presenta una qualche occasione di ritrovo familiare, con frecciate alle reciproche usanze e religioni, che pur ricorrendo a cliché classici non mancano di solleticare il senso dell’umorismo dello spettatore.

Quando finalmente Laure, in occasione del Natale in famiglia, annuncia il suo matrimonio con il giovane e cattolico Charles (come De Gaulle, per la gioia del padre!), sembra che le preghiere dei Verneuil abbiano finalmente trovato risposta… fintanto che non si scopre che Charles, originario della Costa d’Avorio, ha la pelle color dell’ebano. Si scatena così una catena di reazioni inaspettate. I genitori di Laure entrano in una profondissima crisi che li porta quasi al divorzio, le sorelle biasimano Laure perché con il suo matrimonio mina gli equilibri già fragili di una famiglia complessa, e i tre generi litigiosi fanno fronte comune contro Charles, nel tentativo di screditarlo agli occhi della ragazza e di far naufragare il progetto matrimoniale, perché alla fine niente unisce di più che avere lo stesso nemico. E Charles non se la passa meglio: i suoi genitori, africani tradizionalisti, non tollerano l’idea che egli sposi una ragazza bianca e francese, facendo di tutto per mandare a rotoli il fidanzamento. Sembra proprio che questo matrimonio non s’abbia da fare, le tensioni esplodono anche tra i futuri suoceri, ultraconservatori e poco inclini a rinunciare alle loro tradizioni, ma la forza del legame familiare finisce per prevalere e amalgamare il melting pot della famiglia Verneuil.

Il lieto fine d’obbligo porta alla composizione dei contrasti e ci aiuta a specchiarci con onestà in Claude, con le sue difficoltà a riconoscere la diversità di ciascuno dei suoi quattro generi e del suocero. Perché niente aiuta più a correggere un limite dell’ammettere ad alta voce di averlo. Davvero, siamo tutti uguali.

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