Non-fiction

Olivier Assayas
Francia 2018, Distr. I Wonder Pictures, Commedia, 100 minuti
Scheda di: 
Fascicolo: dicembre 2018

La trama del film

Alain (Guillaume Canet), direttore di una prestigiosa casa editrice, deve rifiutare il romanzo del suo amico Léonard (Vincent Macaigne), già frustrato per lo scarso successo del suo precedente lavoro. Ma anche un’altra questione angustia l’editore: il destino del suo settore nell’era digitale. Per questo ha assunto la giovane e agguerrita Laure (Christa Theret), sviluppatrice di risorse digitali, con cui inizia una relazione extraconiugale.


Non-fiction – il tredicesimo lungometraggio del regista francese Olivier Assayas, presentato in concorso all’ultima Mostra di Venezia – si apre nella cornice quotidiana di un bistrot. Léonard, scrittore roso dall’inquietudine, ha chiesto un confronto con l’editore e amico Alain, per conoscerne il parere sul suo ultimo romanzo. Viviamo in un tempo in cui «ci sono meno lettori e più libri», gli spiega Alain per giustificare il suo rifiuto a pubblicarlo, e anche per gli editori la situazione non è facile: bisogna fronteggiare il digitale e il potere dei social network e della rete con il conseguente dominio della post-verità («ognuno legge quello che conforta la propria opinione»), per cui il valore dell’oggetto libro è sempre più in discussione. Sin dalle prime battute, viene dunque evocato il tema portante di tutta la narrazione: il rapporto tra digitale e libro stampato e quindi fra tradizione e innovazione. La riflessione si approfondisce in seguito nei dialoghi che si svolgono in altri interni – salotti borghesi, caffè, uffici – e coinvolgono altri personaggi: la moglie di Alain, Selena (Juliette Binoche), attrice divisa tra dozzinali fiction televisive e raffinate pièce teatrali; Valérie, assistente di un noto politico e pragmatica compagna di Léonard; e Laure, esperta di digitale chiamata per rinnovare le strategie editoriali della società di Alain.

Proprio la conversazione è la cifra stilistica del film, che insegue la tradizione del “film parlato” e il lavoro di grandi cineasti francesi quali Alain Resnais ed Éric Rohmer. Mentre l’azione è ridotta all’osso, quello che vediamo sullo schermo è un flusso comunicativo continuo, che passa di personaggio in personaggio e prosegue di scena in scena. Il punto di partenza è l’interrogativo posto in apertura: la digitalizzazione inaridisce la cultura o la rende semplicemente più fruibile, come sostengono quelli che Umberto Eco definiva “integrati” in un suo saggio del 1964? Secondo Laure, staremmo assistendo a un’evoluzione della nostra civiltà, perché la diffusione degli strumenti digitali consente di mettere in discussione pregiudizi e verità ritenute incrollabili. D’altra parte – obiettano i tradizionalisti come Alain – se gli e-book sono in commercio da tempo, perché non hanno già soppiantato i libri cartacei? La questione è espressa da Assayas anche in riferimento alla settima arte, dal momento che la scomparsa della pellicola e il declino della sala cinematografica hanno fatto presagire una “morte” del cinema. Pian piano, gli scontri dialettici si spostano al cuore di uno dei più accesi dibattiti contemporanei: quello sulla post-verità e sulla difficoltà a individuare ciò che è autentico nel mare magnum informativo in cui siamo immersi. Se oggi gli utenti dei social media si accontentano di costruire la propria visione del mondo a partire da ciò che i motori di ricerca selezionano per loro, che ne è dei concetti di verità e soprattutto di realtà?

Il titolo internazionale del film, Non-fiction, rimanda anche a una ulteriore accezione del termine “verità”: la tecnica letteraria che consiste nella riscrittura in forma romanzesca di fatti e vicende accaduti realmente. Tra gli autori di riferimento di questo genere figurano, ad esempio, Roberto Saviano e il francese Emmanuel Carrère. Nel film, anche Léonard ricorre a continui riferimenti alla propria vita reale, premurandosi tuttavia di avvisare che ciò che racconta non è davvero parte della sua autobiografia: tuttavia Alain non vuole pubblicare il suo ultimo lavoro proprio per i numerosi dettagli che rendono ben riconoscibili le donne descritte, tra cui sua moglie Selena. Come tutti i narratori, dunque, Léonard è un ladro che “ruba” qualcosa alle persone che lo circondano, trasfigurandole in personaggi letterari. Ma mentre lui fornisce la sua versione della storia, chi potrà raccontare anche quella dei soggetti descritti? Chi darà voce a chi viene raccontato o filmato? La “democrazia” digitale sembrerebbe rispondere a questa ingiustizia, offrendo a chiunque la possibilità di esporre la propria opinione e di renderla pubblica. Tuttavia, è proprio l’eccedenza di narrazioni a ridurre la possibilità di cogliere qualcosa di autentico nel nostro panorama mediatico. Allora, ancora più ficcante risulta il titolo originale del film, Doubles vies: perché la società contemporanea sembra proprio definita da questa proliferazione di parole, immagini e identità virtuali. Nel film, chi viene “raddoppiato” sulla carta – come Selena, divenuta un personaggio nel romanzo di Léonard – preferisce riappropriarsi della propria identità deformata dalla fiction, prima che questa immagine falsata giunga ai lettori.

Attraversando con intelligenza alcuni nodi cruciali del nostro tempo e della società occidentale, Non-fiction chiude un’ideale trilogia iniziata da Assayas con i drammatici Sils Maria e Personal Shopper. Qui il cambio di registro e la virata verso la commedia rappresentano solo una diversa articolazione di temi già enunciati nei due titoli precedenti. In Sils Maria, una sorta di Eva contro Eva tra le montagne svizzere, la stessa Binoche interpretava un’attrice incapace di reggere la competizione con una star più giovane e venerata nell’universo social. In Personal Shopper, invece, la protagonista si confrontava con il lutto e l’entità misteriosa nascosta dietro ad alcuni SMS. L’ipermediazione che caratterizza la nostra vita quotidiana è costantemente messa a tema da Assayas, che con Non-fiction esplicita il discorso per denunciare il paradosso di una democratizzazione che ci ha resi più arroccati nelle nostre posizioni, incapaci di uscire dalla zona di sicurezza della nostra percezione individuale.

È ammirevole, tuttavia, come questa critica emerga limpida da un dispositivo filmico votato alla leggerezza, dove si ha anche modo di sorridere, se non di ridere, quando le situazioni divengono surreali o di fronte all’acume di alcune battute. Come tutti i film di Assayas, il genere è solo una maschera che cela innumerevoli livelli di lettura. Così, in Non-fiction gli intrighi e i tradimenti di questi rappresentanti dell’intellighenzia parigina passano in secondo piano rispetto alla riflessione sui media. Perché in fondo è la stessa necessità di ottenere consensi che si manifesta sui social a portare all’instaurarsi di relazioni intime parallele.

Oltre al futuro del libro e alla moltiplicazione degli autori, anche il ruolo della critica è passato al vaglio dai personaggi. Che senso possono ancora avere queste figure, in un mondo che sembra non avere più bisogno di mediatori, e in cui persino i politici comunicano esponendo la loro vita privata? Sdoppiamento, smaterializzazione e disintermediazione intesa come sparizione dell’autorità sono in fondo facce della stessa medaglia, ci dice Assayas. E questo – come sostiene la compagna di Léonard, Valérie – porta solo a confermare i propri pregiudizi, in un narcisismo che nella rete trova il suo strumento di espressione ideale. Non è un caso che sia proprio la concreta e onesta Valérie a emergere in maniera positiva nella girandola sentimentale tracciata dal film. A differenza degli altri adulti troppo presi da se stessi, è lei infatti l’unica a superare il proprio pregiudizio, il sospetto, e a dare fiducia all’altro, sia il politico onesto ma poco carismatico per cui lavora, sia il fedifrago e immaturo compagno Léonard, che cerca di sostenere senza inutili patetismi o slanci melodrammatici.

Nel film, ricco di rimandi cinefili, Alain cita una scena di Luci d’inverno (1963) di Ingmar Bergman, paragonando il pastore che celebra la messa in una chiesa quasi vuota alla situazione attuale dell’editore, che si ostina a stampare libri che rischiano di non essere letti. Il vero problema, dice Alain – e di riflesso Assayas – non è che la chiesa sia vuota, né la messa in discussione dell’autorevolezza del pastore; quello su cui bisogna interrogarsi è ciò che unisce queste due dimensioni: ovvero la fede. Crediamo ancora che esista un legame tra chi scrive e chi legge? Tra chi parla e chi ascolta? Tra chi ama e chi è amato? La comunicazione, ci dice Non-fiction, è anzitutto un atto di fede: solo in quanto tale potrà sopravvivere a ogni rivoluzione tecnologica e umana.


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