L’ultimo libro di Martín Caparrós,
un autore argentino
dallo sguardo critico e la scrittura
brillante, è un atto di amore
e un tentativo di comprendere
quell’ampia regione del continente
americano in cui si parla una lingua
importata dai colonizzatori europei,
il castigliano, che comprende
19 Paesi e si estende per 12mila
chilometri: dalle aree settentrionali
del Messico fino all’estremo sud
della Patagonia, divisa tra Cile e
Argentina, passando per i Caraibi,
l’Amazzonia e l’altopiano andino.
Circa 420 milioni di persone vivono
in questo territorio così vasto e ricco,
estremamente diversificato dal
punto di vista naturalistico e culturale,
un insieme eterogeneo che
l’A. propone di pensare come fosse
«una cosa sola. La sfida è di trovare
ciò che ci collega» (p. 24).
Il primo passo che compie riguarda
proprio il nome usato per
indicare questa regione. Nel corso
dei secoli vari nomi sono stati
proposti, finché non si è imposto
“America latina”, utilizzato per la
prima volta nel 1857 da José María
Torres Caicedo, un colombiano in
esilio a Parigi, in una poesia dove
i territori del “nuovo continente”
in cui si parlavano lingue derivate
dal latino erano contrapposti a
quelli in cui prevaleva la lingua dei
sassoni, detentori di un potere che
andava al di là dei loro confini. Il
nome, che rinviava all’Europa colonizzatrice,
si impose ben presto,
cancellando di fatto le identità
locali: «Indios, neri, meticci e mulatti
scomparsi al solo colpo di una
parola» (p. 18). Caparrós si discosta
da quanto è consolidato e fa
un’operazione diversa. Prendendo
spunto dalla lingua comune e dalla
“ñ”, la lettera più originale del suo
alfabeto, conia la parola Ñamerica
e la utilizza per chiamare questo
insieme di Paesi e le persone che vi
vivono.
Ñamerica diviene così il titolo del
libro, a cavallo tra un saggio e un
affascinante racconto, in cui sono
raccolti e ordinati gli appunti dei
numerosi viaggi che l’A. ha fatto
visitando i vari Paesi dell’America
centrale e meridionale, recandosi
tanto nei piccoli villaggi quanto
nelle megalopoli, cresciute a dismisura
negli ultimi decenni, parlando
con le persone al mercato, i politici
o gli intellettuali. Le riflessioni più ampie sui grandi temi di fondo, ad
esempio le diseguaglianze, le migrazioni,
i fenomeni culturali,
sono alternate
alle gallerie di ritratti
dedicati ad alcune
città del continente,
come L’Avana,
Città del Messico
o El Alto, che incarnano
in modo
simbolico tendenze
che da tempo
caratterizzano la
Ñamerica o che si sono
affermate più di recente.
L’esito finale di questi anni di
viaggi è un libro estremamente
personale – l’A. non nasconde
le proprie opinioni sui vari temi,
espresse anche in modo molto
netto – e al contempo
polifonico per le tante
voci a cui si dà spazio.
Non si tratta,
perciò, di uno
studio in senso
stretto, ma di un
punto di vista
informato e interessante
su una
parte del nostro
mondo che come europei
potremmo avere
l’impressione di conoscere
meglio di altre, ma che ha ancora
tanto da rivelarci.